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Adel Abdessemed nasce nel 1971 a Constantina, in Algeria. Quando negli anni ’90 si confronta con le atrocità della guerra civile algerina, Abdessemed decide di trasferirsi in Francia per concludere gli studi presso la Cité Internationale des Arts di Parigi. Impressionanti, aspramente critiche e metaforiche, le sue opere fanno costante riferimento alla violenza sociale e alla politica. Affrontando numerosi mezzi espressivi, dalla performance all’installazione, dal video alla scultura, dal disegno alla fotografia, l’artista svela come
la società sia pervasa da soprusi e abusi generati dalle insanabili differenze geopolitiche del mondo contemporaneo. Molti dei suoi lavori riconducono immediatamente al terrore e all’atrocità della guerra, costruendo un’antologia di immagini di violenza riconoscibili universalmente.
Si tratta di un vero relitto, abbandonato probabilmente da migranti cubani, recuperato sulle coste della Florida e stipato di sacchi
della spazzatura neri realizzati in resina, simbolo dei migranti,
spesso paragonati e ridotti a spazzatura. Abdessemed ha chiamato quest’opera Hope, “speranza”, facendo allusione a un’opera di Caspar David Friedrich, Die gescheiterte Hoffnung (in italiano, “Il relitto della speranza”), il cui titolo esprime l’idea di una speranza delusa. La tragedia, con cui spesso termina il viaggio di migranti disperati in varie parti del mondo, è diventata ormai un evento giornaliero. Il peso materiale di Hope, un oggetto reale, offre un forte contrasto rispetto alla fluidità transitoria delle immagini dei media a cui siamo abituati.
La terra è inquieta e gli uomini su di essa si muovo freneticamente: alcuni migrano in cerca di posti migliori in cui vivere e altri che abitano in luoghi reputati migliori ora accolgono ora respingono i primi con ritmo alterno.
E’ la grande questione dei giorni nostri che costituisce l’asse portante della mostra La terra inquieta, ideata da Massimiliano Gioni che ha avuto luogo nel 2017 in Triennale a Milano, a cui ha partecipato anche Abdessemed con la sua opera.
In questa mostra il curatore, interrogandosi sul ruolo dell’artista come testimone di eventi storici e drammatici e sulla capacità dell’arte
di raccontare cambiamenti sociali e politici, ha riunito numerosi
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