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  Christian Boltanski nasce a Parigi nel 1944 verso la fine della Seconda guerra mondiale da padre ebreo di origine ucraina e da madre cattolica una e, ovvero “madre cattolica e per questo è in lui molto
vivo il ricordo della Shoah. Ha iniziato a dipingere nel 1958 all'età di
13 anni senza perciò avere una vera formazione artistica, nel senso tradizionale del termine. Boltanski nel 1967 smette di dipingere per dedicarsi alla sperimentazione e alla scrittura, attraverso lettere e documenti che invia ai grandi artisti dell'epoca, incorporando nella sua opera elementi del suo mondo personale e della sua biografia, reale o immaginaria, che diventano il tema principale dei suoi lavori. È noto soprattutto per le sue installazioni artistiche, anche se lui stesso ama definirsi pittore, pur avendo da tempo abbandonato questo ambito.
Il suo lavoro artistico è pervaso dal tema della morte, della memoria
e della perdita. Per questo numerose sono le creazioni di memoriali degli anonimi e di chi è scomparso. Oggi insegna alla Scuola nazionale superiore di belle arti di Parigi e vive a Malakoff, nella regione dell'Île- de-France, con la moglie Annette Messager, artista anch'essa con la quale saltuariamente collabora: insieme sono considerati tra i principali artisti contemporanei francesi.
L’opera, installata al Grand Palais di Parigi all'interno della rassegna Monumenta edizione 2010, occupa uno spazio notevole: 13500 metri quadrati in una architettura di ferro e di vetro. Entrando la vista della navata è chiusa da una lunga muraglia formata da centinaia di scatoloni in ferro arrugginiti e numerati. Superata questa barriera ci troviamo davanti a una vasta distesa di vestiti multicolori posati per terra, divisi in settori (esattamente 23 per tre file) delimitati ai quattro lati da pali in ferro e illuminati da freddi tubi al neon. Questa distesa di pali e vestiti, che fa venire in mente un cimitero o un campo di concentramento, occupa in larghezza tutta la superficie. Al di là di questo paesaggio desolato, al centro, si innalza fino a venti metri un enorme cumulo sempre di vestiti multicolori. Una gru periodicamente afferra un mucchio di vestiti, li solleva in alto e poi li fa cadere svolazzando come anime morte che ricadono inesorabilmente nel mucchio. L'azione della mano ferrata può essere interpretata come quella del fato, della falce della morte o, per chi ci crede, di un’entità divina. L’effetto è allo stesso tempo affascinante e tragicamente poetico. Per questo motivo il titolo
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