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GRUPPO H / COLOMBIA
Arrivare a Santo Tomás significa camminare per strade sterrate, trovarsi in mezzo a ri- voli d’acqua che attra- versano montagnette di fango, sentire caldo,
tantissimo caldo, da perdere litri di sudo- re, senza esagerazioni, pur restando fermi all’ombra. Tra asaderos improvvisati e vo- ragini a sezionare le poche zone asfaltate, basta chiedere in giro per essere portati a casa di Muriel, il figlio più illustre di quella terra. Ci sarà sempre un vecchietto dispo- sto a condurti, raccontandoti aneddoti che non capirai mai, non conoscendo la zona. Magari parlando di ciò che succede a ogni Settimana Santa, quando decine di perso- ne con il volto coperto camminano per le strade prendendosi a frustate. Intanto pas- sa un mototaxi, una moto con una carrozza attaccata dietro, che sembra il mezzo di trasporto più pericoloso al mondo.
E a un certo punto, tra decine di case fatiscenti, a Santo Tomás ne trovi una, una sola, molto elegante. Tutta bianca, di mar- mo, in una stradina in lieve discesa, con un piccolo cortile davanti alla porta d’ingresso. Basta citofonare. Arriva la mamma di Luis Fernando, chiama il marito e il senso del viaggio si svela in una conversazione tra amici con una persona che non conosci. Basta presentarsi come italiani e le porte sono aperte. Che posto incredibile, Santo Tomás. Lì dove cominciò il viaggio di Luis Fernando Muriel.
La prima volta che segnò un gol, Luis Fernando Muriel, ancora bambino, lasciò il campo portato in trionfo. Il padre, che lo
appoggiò sempre in ogni scelta, lo portava agli allenamenti. E fu colui che chiese di far giocare il figlio, ancora molto piccolo, in un torneo di ragazzini dai sei anni in su. Alla pri- ma palla toccata Luis Fernando si liberò di tutte le marcature e mise la palla in porta.
«Ha cominciato a calciare un pallone a cinque anni, e gli è piaciuto. A sei anni è entrato in una escuelita di un vicino qui a Santo Tomás e a dieci è passato al Junior, dove è rimasto fino ai dodici. Poi è entra- to nella Escuela Barranquillera, lo hanno visto giocare emissari del Deportivo Cali, gli hanno fatto fare un provino e lo hanno tenuto. Sin dai sei anni, quando era solo un pelao, un ragazzino, lo chiamavano tutti “Valenciano”, perché Iván René Valenciano giocava nel Junior e Luis Fernando era gor- dito come lui e tirava come lui, con grande potenza, segnando sempre. Álvaro Núñez lo portò prima al Junior e poi alla Escuela Barranquillera».
Il giorno che cambiò la sua vita, proba- bilmente, fu quello in cui firmò una tripletta all’Once Caldas con la maglia del Deportivo Cali. Uno di quei ricordi che commuovono ancora un padre che non ha mai immorta- lato le imprese di suo figlio da ragazzino in foto o video.
«Non ho foto o immagini del suo perio- do al Junior perché in quel momento la no- stra situazione economica non era buona, non avevo nulla, e ovviamente neppure un telefono con la camera incorporata, quindi non facevo foto. Tutto quello che ha fatto rimane nella testa, nella mia memoria, e ho
ottimi ricordi, tutti dentro di me».
Quando arrivò la pro-
posta dell’Udinese, c’erano anche i Tigres di Monterrey pronti a far firmare Luis Fer- nando. Un momento così bello che lasciò la famiglia quasi confusa per tutto quello che stava accadendo. Nessuno era preparato a vivere quello che sarebbe successo.
«Quando è stato a Granada, in prestito dall’Udinese, non avevamo soldi per anda- re a visitarlo e non avevamo strumenti per comunicare. Per lui fu una stagione dura, e per noi terribile. Poi per fortuna dopo il Mondiale Under 20 in cui giocò molto bene passò, sempre in prestito, al Lecce».
L’allenatore Fabri González a Granada non gli diede mai fiducia, e Luis Fernando terminò per vivere eccessi, risse, feste. Nessuno gli dava consigli, nessuno si cura- va di lui. Ma poi, finalmente, quel Mondiale Under 20. La mamma di Luis Fernando si sentì male per l’emozione di vedere suo fi- glio segnare il primo gol con la Colombia in quel torneo in casa, contro la Francia.
Forse perché ripensava a quando Luis Fernando Muriel si muoveva per le strade polverose di Santo Tomás vendendo bigliet- ti della lotteria, ascoltando e canticchiando musica vallenata. Vendeva una ventina di biglietti al giorno, ma senza urlare come da costume, bensì offrendoli con gentilezza alle persone che conosceva, e le ore pas- savano tra la scuola, a Palmar de Varela, e il calcio, a Malambo, nel campo di Bomboná, dove si allenava con il Junior.
Il padre di Luis Fernando Muriel
MAGGIO-GIUGNO 2018 / TRE3UNO3 93