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Nel 1969 ebbi, in via del tutto eccezionale, dall’allora
        Soprintendente Archeologico de Franciscis, dopo lun-
        ghe trattative epistolari, l’autorizzazione ad effettuare
        riprese fotografiche agli scavi in corso in quel periodo
        per conto di un periodico tedesco.
        Mi aggiravo tra i cantieri rapito, più che dalle mae-
        stose vestigia del passato e dallo splendore delle pa-
        reti dipinte appena scoperte, dal fascino delle cose
        che emergevano dal passato, piccole e grandi cose
        che raccontavano della vita dell’antica Pompei, ricca
        opulenta città, gaia e raffinata, sepolta dall’eruzione
        del Vesuvio che l’aveva bloccata, quasi fotografata,
        in pochi istanti fissando per sempre quelle vite inter-
        rotte provocando la morte dei suoi abitanti.
        Scavando emergevano i corpi fulminati, che colti nel
        disperato tentativo di fuga, nell’ultimo anelito di vita,
        tornavano a raccontarci una storia tragica e a chie-
        dere rispetto.



































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