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Il cimitero militare germanico della Futa si trova nel
        comune di Firenzuola, in provincia di Firenze sull’ap-
        pennino tosco-romagnolo teatro, durante l’ultima
        guerra mondiale, di feroci scontri tra nazifascisti e
        partigiani. È uno dei più grandi realizzato in Italia da
        un ente privato, ma sovvenzionato dallo stato tede-
        sco, che si occupa di onorare i caduti germanici.
        Progettato da Dieter Oesterlen, fu inaugurato il 28
        giugno 1969, e accoglie oltre trentamila salme, pro-
        venienti da molti comuni italiani.
        Inizialmente il progetto fu fortemente osteggiato
        dalla popolazione locale nella cui memoria erano an-
        cora vivi i ricordi delle violenze nazifasciste perpetrate
        nella zona. Marzabotto non è lontana. La notte
        prima dell’inaugurazione comparvero scritte ostili,
        prontamente imbiancate dal servizio d’ordine di cui
        erano incaricati giovani volontari tedeschi.
        Alla fine prevalse la pietà.
        La grande stele triangolare e grigia che torreggia al-
        l’ingresso del cimitero è decorata con inserti di pietre
        di altri colori che disegnano una specie di saetta, se-
        condo il progettista doveva far riflettere sulla fulmi-
        neità con cui, in guerra, una vita viene spenta. Altri ci
        hanno visto un chiaro richiamo alla Blitzkrieg, la
        guerra-lampo nazista che sconvolse l’Europa.
        Il giorno dell’inaugurazione sul cimitero si abbatté
        una tempesta di pioggia e vento che però non sco-
        raggiò i partecipanti. Mi aggiravo tra di loro con sen-
        timenti molto contrastanti, alcuni avevano l’aria di
        turisti in scampagnata ma per la maggior parte i pre-
        senti avevano i volti sconvolti e rigati dal pianto,
        segno di ferite ancora vive anche se lontane nel
        tempo. Mi guardavano passare tra di loro, osservan-
        doli, fermando il loro dolore, non volevo pensare che
        fossero tutti nostalgici nazisti, ma i loro sguardi non
        erano amichevoli, tuttavia nessuno si sottrasse al mio
        obiettivo né colsi segni di rifiuto o nervosismo, forse
        perché condividevo con loro la pioggia e il vento, oltre
        all’emozione e alla pietà, in quell’angolo di Appen-
        nino pieno di morte.
















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