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Nel periodo del mio soggiorno romano, dal maggio
1968 al gennaio 1971, come fotoreporter free lance,
ho realizzato diversi fotoreportage, spesso insieme al
mio amico Andrea Face, giornalista che redigeva i testi,
con la speranza di venderli poi a periodici nazionali ed
esteri, direttamente o attraverso agenzie.
Gli argomenti venivano tratti dalle notizie di varia na-
tura riportate dai giornali, cercando di intuire quale
argomento potesse essere sviluppato e approfondito e
meritasse, a mio avviso, di diventare un “servizio”.
Certe volte i “servizi” venivano richiesti direttamente
da qualche giornale o agenzia, ma questo non capi-
tava di frequente. Alcune volte i tentativi di piazzare i
servizi non ebbero particolare fortuna, pur riscuotendo
quasi sempre molte soddisfazioni, ahimé solo morali,
per la riconosciuta qualità delle immagini. In alcuni
casi, invece, la pubblicazione, anche su testate estere,
ricompensò gli sforzi, e i costi sostenuti, incoraggian-
domi a proseguire.
Ma per me il fotoreportage forse era solo un alibi; mi
rendevo conto, in effetti, che quello che a me interes-
sava veramente era osservare la gente, i luoghi, le si-
tuazioni, insomma la vita che mi scorreva intorno ed
osservarla con curiosità ed emozione e catturarla,
senza mai nascondermi; quasi tutti i miei soggetti mi
guardano o sono consapevoli della mia presenza che
condivide con loro quell’istante magico.
Queste immagini sono una selezione di quelle scattate
per alcuni di quei fotoreportage, che qui sono presen-
tati non nell’ordine cronologico di realizzazione.
Per scelta ho sempre scattato le foto a mano libera,
non mi sono mai servito del cavalletto che avrebbe im-
pedito l’immediatezza della ripresa e non ho mai uti-
lizzato fonti di luce supplementare oltre a quella
esistente nel momento della ripresa, affidando all’Il-
ford HP4 o alla Kodak Tri X-Pan tirate a 800/1600 o
anche più (gli addetti ai lavori comprenderanno) e ad
1/30 di secondo la possibilità di cogliere immagini,
persone, situazioni ed emozioni anche in condizioni di
luce precaria, ben consapevole che queste modalità
avrebbero influito sulla qualità tecnica delle foto, fa-
cendo aumentare la grana e correndo il rischio di scatti
mossi, non perfettamente a fuoco o con poca profon-
dità di campo.
Ma a me interessava avere l’immagine, cogliere e fer-
mare, in quel luogo ed in quel momento, quell’inso-
stituibile istante di vita che condividevo con il mio
soggetto. Per me era quella l’essenza della fotografia.
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