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“[...] A Jean, inoltre, piace anche fotografare la gente [...]. Stenti ed età, dice, preferibilmente tutt’e due le cose insieme, dicono
molto di più che qualsiasi altra cosa del carattere di un popolo e di un paese”.
Irwin Shaw, Rich man, poor man (ed. italiana Povero ricco)
“Se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino”.
Robert Capa
“Non tutto ciò che si vede è vero, ma non tutto ciò che è vero si vede”.
M.G.
Nella vita degli altri
Street-photo, detto in italiano: foto di strada, ma suona meglio in inglese.
Ci sono maestri assoluti che ne hanno fatto una vera arte, lasciandoci immagini che sono entrate nella storia della fotografia,
uno per tutti, Cartier-Bresson, ma insieme a lui tanti altri che hanno creato capolavori indimenticabili.
Si va in giro, spesso senza uno scopo o una meta prestabilita, e si osserva la vita degli altri.
Le foto che ne risultano sono un insieme di fortuna, trovarsi in quel luogo e in quel preciso momento; di attenzione, guardarsi
sempre intorno cercando di non farsi sfuggire il minimo particolare, scrutando quello che altri neanche vedono; e bravura, co-
gliere a volo quell’attimo di emozione che ti fa vibrare quando capisci che hai trovato quello che cercavi, quello sguardo, quel
gesto, quella situazione; indispensabile un minimo di rapidità tecnica per scegliere e impostare all’istante la messa a fuoco, il
tempo di esposizione e il diaframma più adatti, fidando sulla mano ferma che fino ad 1/15 di secondo consente di avere un’im-
magine non eccessivamente mossa. E ancora, rispetto, rispetto per i soggetti. Mai aggredirli con l’insistenza, mai nascondersi,
mai dargli l’idea che gli stai rubando sentimenti privati, piuttosto che con loro stai condividendo un semplice momento della
loro vita, che per te, invece, è qualcosa di non replicabile. Inoltre è un’operazione solitaria, bisogna essere soli per restare con-
centrati sull’osservare tutto, impossibile condividere la concitata fase operativa, o la botta adrenalinica di cogliere quell’istante
unico, con altre presenze anche quelle cui si è legati da affetti, perché bisogna avere pazienza e magari indugiare senza distra-
zioni, aspettando che il tuo soggetto transiti in quel luogo che darà più significato all’immagine, o che si verifichi quello che
hai previsto o intuito possa accadere. Ma in fin dei conti non si è veramente soli, perché ci fanno compagnia i nostri soggetti,
le persone che stiamo riprendendo con cui stabiliamo un rapporto, brevissimo, ma profondo.
I loro sguardi li ricordo ancora, sempre attenti, indagatori, ironici o incuriositi ma mai astiosi, in special modo quelli dei bam-
bini, gioiosi o mesti, ma puliti, onesti, sinceri, profondi e amichevoli.
E poi c’è l’ambiente dove le persone vivono, che smette di essere solo uno spazio, un oggetto, e diventa anch’esso soggetto, im-
prescindibile, partecipe di quell’istante; un basamento, un muro sbrecciato, una voluta di pietra, un taglio di luce o un gioco
d’ombre, entrano a pieno titolo nell’immagine e la completano, raccontando la loro relazione con le persone che con essi si
rapportano vivendoci.
Ecco, questa è la street-photo. Non semplice documentazione, ma narrazione di vita vissuta.
Le citazioni che precedono questa breve riflessione, fotografano, mi sia consentito il gioco di parole, il mio concetto sulla street-
photo; naturalmente non voglio dire che la povertà, il disagio, il dolore sono più fotogenici, per me, rispetto alla gioia, l’agia-
tezza o alla bellezza assoluta. Quello che per me conta, o ha contato, mentre scattavo le immagini contenute in questo volume,
e in quelli precedenti, è la partecipazione, l’essere entrato in punta di piedi nella vita degli altri, nella loro umana quotidianità,
nella quale mi sforzavo di cercare, perché ne ero certo che li avrei trovati, sprazzi di bellezza, dignità, amore, generosità, com-
passione e passione, tra stracci e pietre sgarrupate, e di aver condiviso emotivamente un breve momento della loro esistenza.
Questo ha riempito e arricchito la mia vita.
Le immagini di questi libri sono un omaggio e una testimonianza grata ai miei soggetti, ai quali ho catturato, ma non sot-
tratto, una piccola scheggia di vita rendendola, a loro insaputa, tecnicamente eterna, trasformandomi, però, in loro debitore.
Sono quindi un atto di amore nei loro confronti e chiudono i miei conti con ciascuno di essi.
Le fotografie contenute in questo volume, tutte scattate tra il 1965 e il 1971, non sono inserite in ordine cronologico ma casualmente, come casualmente le scene riprese sono ap-
parse ai miei occhi. Volutamente non sono indicate le località in cui sono state riprese, perché ininfluenti rispetto al contenuto intrinseco dell’immagine. Il luogo di ognuna è la vita.
Per scelta ho sempre scattato le foto a mano libera, non mi sono mai servito del cavalletto che avrebbe impedito l’immediatezza della ripresa e non
ho mai utilizzato, se non in casi rarissimi, fonti di luce supplementare oltre a quella esistente nel momento della ripresa, affidando all’Ilford HP4
o alla Kodak Tri X-Pan tirate a 800/1600 o anche più (gli addetti ai lavori comprenderanno) e ad 1/30 di secondo la possibilità di cogliere im-
magini, persone, situazioni ed emozioni anche in condizioni di luce precaria, ben consapevole che queste modalità avrebbero influito sulla qualità
tecnica delle foto, facendo aumentare la grana e correndo il rischio di scatti mossi, non perfettamente a fuoco o con poca profondità di campo.
Ma a me interessava avere l’immagine, cogliere e fermare, in quel luogo ed in quel momento, quell’insostituibile istante di vita che condividevo con
il mio soggetto. Per me era quella l’essenza della fotografia.
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