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Il viaggio. Quello che mi è sempre piaciuto del viaggiare è il viaggio stesso, quella cosa che ti permette di attraversare luoghi
mentre aspetti di arrivare alla meta che ti sei prefisso, e nel frattempo li guardi quei luoghi e te li vivi, se possibile con calma;
per questo non amo i viaggi in aereo, troppo breve il tempo che intercorre tra la partenza e l’arrivo e in mezzo non c’è niente
se non nuvole e visione geografica dei territori.
Se potessi, anzi se avessi potuto mi sarebbe piaciuto di viaggiare a piedi, allora si che avrei potuto veramente vivere i luoghi
immergendomici dentro.
Ma può andare bene anche la macchina, specialmente se non hai fretta di arrivare alla meta, se la meta diventa una scusa
per cercare, lungo il percorso, di capire quello che stai guardando e fissare in un’immagine quello che ti colpisce e ti emo-
ziona, non necessariamente la più importante realtà turistico-monumentale, ma la vita delle persone in quei luoghi. Non ho
mai viaggiato solo per turismo, almeno quando facevo viaggi fotografici. Quando ho fatto solo il turista raramente ho scat-
tato foto, per i ricordi bastava la memoria.
Viaggi in terra di Spagna
“Vogliamo andare in Spagna?” Così esordì mio fratello Dino. Era una sera di metà luglio del 1970, a Napoli, faceva caldo,
camminavamo per via Toledo. Da tempo aveva scoperto la musica flamenca e ne era rimasto ammaliato, collezionava long
play, 45 giri, musicassette, registrazioni varie, libri, giornali, insomma tutto quello che riusciva a trovare sull’argomento. Era
affascinato dal mondo e dalle atmosfere che quelle musiche evocavano, gli sembrava che gli spagnoli vivessero di e con il fla-
menco. “Ma che ti credi che suonino e ballino il flamenco per le strade? È come se noi napoletani stessimo sempre a ballare
la tarantella!” Risposi io, che presuntuosamente credevo di sapere tutto. Comunque dopo animate discussioni mi convinse
e agli inizi di agosto partimmo con la mia 500. Siamo stati in Spagna quattro volte, agosto e dicembre 1970 e aprile e ago-
sto 1971, tre volte in macchina, dormendo dove capitava in sacco a pelo, e una in aereo. Ci avevano colpito due ragazze,
due sorelle, che avevamo conosciuto a Cordoba durante il primo viaggio e con varie scuse tornammo altre tre volte facendo
però sempre itinerari differenti dall’Italia, sia attraverso la Francia che nella stessa Spagna, ma la nostra vera meta era Cor-
doba dove sostavamo di preferenza facendo poi escursioni anche a lungo
raggio. La Spagna che ho visto e fotografato in quelle occasioni era quella
franchista; il Caudillo, ormai decrepito, la guidava ancora col pugno duro,
non disdegnando di garrotare qualcuno ogni tanto. Esteriormente non
c’erano segni di tensioni sociali, ma si sentiva che sotto la cenere covava il
fuoco del dissenso. Era la Spagna prima del grande sviluppo economico
degli anni Ottanta/Novanta, della speculazione edilizia che ne avrebbe de-
vastato le coste e non solo, in attesa del turismo di massa, invasivo e festa-
iolo. La Spagna che ho visto e fotografato era prevalentemente rurale, si
sentivano ancora gli echi della guerra civile che l’aveva sconvolta, si vede-
vano i mutilati di guerra che vendevano biglietti delle lotterie o addetti ai portierati, le abitazioni distrutte nelle operazioni
militari, i disoccupati, tanti, avevano, come in ogni parte del mondo, sguardi disperati, la gente, dignitosa ed orgogliosa, vi-
veva modestamente e sommessamente. Nei pueblos e nelle città la vita non era molto differente e scorreva con ritmi “spagnoli”.
Ma era una Spagna bellissima quella che ho visto e fotografato, ricca di monumenti e d’arte, castelli e cattedrali maestose
la punteggiavano tutta, fin nel più piccolo pueblo, e poi la gente, vera, si sentiva la forte presenza di una religiosità profonda,
segnata dalla morte, dal dolore, dalla sofferenza.
E poi c’era il flamenco. Aveva ragione mio fratello, il flamenco permeava ogni momento della vita degli spagnoli, specialmente
gli andalusi. E anche io ho scoperto e sono stato fascinato dalla forza coinvolgente di quel mondo, perché il flamenco non
è solo una musica, è un mondo, un mondo a parte. È la Spagna.
Ci sono tornato ancora una volta in quella terra, nel 2002, ci sono arrivato in traghetto e l’ho girata in motocicletta con la
mia compagna, ma non ho ritrovato più lo stesso mondo. Non avrei potuto fare le foto contenute in questo libro.
*Sono passati molti anni e non sempre, nel corso dei viaggi, ho annotato con precisione le località, per cui nelle didascalie mi sono affidato anche
alla memoria.
Per scelta ho sempre scattato le foto a mano libera, non mi sono mai servito del cavalletto che avrebbe impedito l’imme-
diatezza della ripresa e non ho mai utilizzato fonti di luce supplementare oltre a quella esistente nel momento della ripresa,
affidando all’Ilford HP4 o alla Kodak Tri X-Pan tirate a 800/1600 o anche più (gli addetti ai lavori comprenderanno) e ad
1/30 di secondo la possibilità di cogliere immagini, persone, situazioni ed emozioni anche in condizioni di luce precaria, ben
consapevole che queste modalità avrebbero influito sulla qualità tecnica delle foto, facendo aumentare la grana e correndo
il rischio di scatti mossi, non perfettamente a fuoco o con poca profondità di campo.
Ma a me interessava avere l’immagine, cogliere e fermare, in quel luogo ed in quel momento, quell’insostituibile istante di
vita che condividevo con il mio soggetto. Per me era quella l’essenza della fotografia.
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