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Erano una presenza costante in Piazza Navona, con i
loro banchetti con tutta la merce, fabbricata in loco,
in bella mostra. Erano i figli dei fiori, prevalentemente
stranieri, americani, tedeschi, inglesi, abbigliati in ma-
niera fantasiosa, in genere prevaleva il look etnico,
stavano lì nella piazza riuniti in gruppi. C’era chi la-
vorava modellando collane, bracciali, orecchini con
maestria e gusto sicuro, qualcuno cantava accompa-
gnandosi con la chitarra, qualcun’altro disegnava,
tutti fumavano. Peace and love... and smoke. L’odore
caratteristico delle “canne” aleggiava sulla piazza.
Normalmente questi giovani erano molto tranquilli e
rarissimamente creavano occasione di risse e disturbi
di qualsiasi natura. In genere nessuno si lamentava
perché per la loro presenza la piazza era soggetta a
molti controlli di polizia, e perché erano un polo di
attrazione per curiosi e turisti di cui beneficiavano
anche negozi e locali della zona.
Però se venivano fotografati volevano essere pagati,
non volevano essere visti come animali da zoo, ma ri-
spettati per la dignità della loro scelta di vita.
Io riuscii a sottrarmi al pagamento perché nel-
l’aspetto, e non solo, ero molto simile a loro, ma una
ragazza fu particolarmente insistente, scoraggiata poi
dal mio eskimo malandato la folta barba e i capelli
arruffati. E non era una scena.
Era il l’autunno del 1968.