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Nel 1969, poco dopo aver preso il potere in Libia,
anche grazie all’aiuto sommerso dei servizi segreti ita-
liani, il colonnello Gheddafi pensò bene di chiudere i
suoi conti con la storia e decise di espellere tutti i no-
stri connazionali ancora residenti in quel lembo
d’Africa. Quasi 20.000 persone furono costrette, dal-
l’oggi al domani, a lasciare precipitosamente tutto
quello che avevano, proprietà, aziende, coltivazioni,
portando via solo gli effetti personali. Erano i di-
scendenti di quelle famiglie impiantate dal fascismo
nei territori del riconquistato, a caro prezzo per i li-
bici, “bel suol d’amore” che negli anni avevano fatto
fortuna, a dire la verità non solo la loro, sentendo
quei luoghi come una loro seconda patria, un’altra
Italia che avevano resa moderna ed economicamente
attiva.
Ma il colonnello non la pensava così.
A Napoli arrivarono le casse con gli effetti personali
dei profughi che furono, in parte, momentaneamente
alloggiati in alcuni fabbricati, in disuso e squallidi, vi-
cini all’area portuale in attesa di scegliersi altre desti-
nazioni.
Dopo un primo momento di clamore, il fatto non
ebbe particolare seguito nell’opinione pubblica, forse
considerando i profughi non proprio come persegui-
tati. Certo non fortunati.
Ovviamente la propaganda politica di parte si ap-
propriò dell’avvenimento, con inviti al boicottaggio
dei prodotti libici... I datteri?
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