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All’epoca di questi eventi, siamo nel ‘68, abitavo a Roma
in una piccola mansarda in via Cavour, strada in cui pas-
savano, quasi quotidianamente tutti i cortei di quel tur-
bolento periodo. Questo fotografato era iniziato
abbastanza pacificamente già dalla tarda mattinata.
Con Andrea Face, con cui condividevo l’abitazione, e
Mario di Pace, un amico scenografo della Rai che era
venuto a trovarci, decidemmo di scendere e di seguire il
corteo. La composizione era variegata e anche un po’
contradittoria, tra pace e lotta, così come le istanze stril-
late a gran voce e scritte sui tanti cartelli che punteggia-
vano il corteo insieme alle bandiere, prevalentemente
rosse, fissate a solidi manici di piccone utilizzabili, al-
l’occorrenza, anche per difesa e/o offesa personale. Agli
iniziali operai si unirono gli studenti e i componenti di
tutta la costellazione della sinistra politica che dettero
una svolta alle istanze del corteo alla cui testa veniva esi-
bito un pupazzo raffigurante il generale de Gaulle, arte-
fice della violenta repressione delle manifestazioni
studentesche del maggio francese. Tra urla fischi e canti
il vasto corteo, che ormai aveva inglobato anche tanta
gente comune, imboccò corso Vittorio intenzionato a
dirigersi verso piazza Farnese sede dell’Ambasciata di
Francia. La polizia, che fino a quel momento aveva scor-
tato la sfilata discretamente mischiandosi anche ad
essa, aveva poi creato un blocco all’altezza di piazza San
Pantaleo per impedire l’accesso a piazza Farnese. Alla
testa del folto e compatto schieramento c’era il Que-
store che con un megafono intimò per tre volte ai di-
mostranti di sciogliere il corteo, poi indossò la fascia
tricolore, facendo intendere così che in quel momento
lui era lo Stato ed ordinò i tre squilli di tromba che da-
vano il segnale della carica. Nel frattempo la testa del
corteo aveva dato fuoco al simulacro di de Gaulle tra le
grida di gioia, canti dell’Internazionale e gli applausi.
Partì la carica e non si capì più niente, gli scontri furono
durissimi senza esclusione di colpi da una parte e dal-
l’altra, i poliziotti coi manganelli, i manifestanti, quelli
più coraggiosi, con le bandiere che ormai avevano perso
il drappo, cercando di difendere le donne e i più anziani,
le esplosioni dei lacrimogeni assordavano l’aria resa ir-
respirabile. Noi tre stavamo in un angolo della piazza
ad osservare gli accadimenti, ad un certo punto un nu-
trito gruppo di celerini ci notò, ed in mancanza di altri
obiettivi decise di assalirci, facemmo appena in tempo a
ripararci dentro un piccolo portone provvidenzialmente
aperto che chiudemmo rapidamente alle nostre spalle
mentre gli assalitori battevano calci, pugni e manganel-
late, una delle quali colpì Andrea di striscio.
Salimmo all’ultimo piano e dal terrazzo seguimmo lo
svolgersi degli eventi, contenti dello scampato pericolo.
Restammo fino a notte fonda su quel terrazzo.
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