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Il viaggio. Quello che mi è sempre piaciuto del viaggiare è il viaggio stesso, quella cosa che ti permette di attraversare luoghi
       mentre aspetti di arrivare alla meta che ti sei prefisso, e nel frattempo li guardi quei luoghi e te li vivi, se possibile con calma;
       per questo non amo i viaggi in aereo, troppo breve il tempo che intercorre tra la partenza e l’arrivo e in mezzo non c’è niente
       se non nuvole e visione geografica dei territori.
       Se potessi, anzi se avessi potuto mi sarebbe piaciuto viaggiare a piedi, allora si che avrei potuto veramente vivere i luoghi im-
       mergendomici dentro.
       Ma può andare bene anche la macchina, specialmente se non hai fretta di arrivare alla meta, se la meta diventa una scusa per
       cercare, lungo il percorso, di capire quello che stai guardando e fissare in un’immagine ciò che ti colpisce e ti emoziona, non
       necessariamente la più importante realtà turistico-monumentale, ma la vita delle persone in quei luoghi. Non ho mai viaggiato
       solo per turismo, almeno quando facevo viaggi fotografici. Quando ho fatto solo il turista raramente ho scattato foto, per i
       ricordi bastava la memoria.

       Viaggio nella Grecia dei colonnelli
       Il 21 aprile del 1967 in Grecia ci fu un colpo di stato militare. I “colonnelli” presero il potere e costrinsero il giovane re Co-
       stantino a rifugiarsi in Italia. Quella data, insieme al simbolo della rivolta, la Fenice che risorge sempre dalle proprie ceneri, di-
       ventò, per i “colonnelli” il grido di battaglia, un mantra ripetuto e declinato all’infinito, su manifesti, volantini, archi di trionfo,
       dipinto sui muri, ovunque. ΖΗΤΩ 21 ΑΠΡΙΛΙΟΥ, Viva il 21 aprile. Una presenza assillante e a volte invadente, dalla capitale
       al più piccolo villaggio delle isole.
       Nel giugno del 1969 insieme al mio amico e collega fotoreporter, Bruno Andreozzi, decidemmo di andare in Grecia a vedere
       come era la situazione e se poteva uscire qualche buon servizio. Per prudenza, sapendo come la pensavano i nuovi padroni di
                                                   casa circa barbe e capelli lunghi, ci tagliammo la barba e accorciammo i capelli:
                                                   eravamo diventati due bravi ragazzi, turisti in vacanza.
                                                   Non ero mai stato in Grecia, e il primo impatto con quel mondo mi colpì pro-
                                                   fondamente. Sulla nave che ci portò a Patrasso, ne ricordo ancora il nome, la
                                                   Litho, gli altoparlanti diffondevano musiche greche che non avevo mai sentito, re-
                                                   betico, sirtaki e canti popolari. Decidemmo di tralasciare tutto il capitolo delle an-
                                                   tichità classiche, eravamo lì per vedere come la Grecia e i greci vivevano la
                                                   dittatura e poi l’idea era anche quella di andare a fotografare il carcere dove era
                                                   detenuto Alekos Panagulis. La presenza della propaganda di regime era costante
                                                   in ogni luogo, condivisa, non so se volontariamente, dalla popolazione, già na-
                                                   turalmente dotata di un forte senso nazionale. In sottofondo anche una forte
                                                   presenza USA e NATO. Apparentemente la vita scorreva tranquilla nelle varie lo-
                                                   calità dove ci recammo e potemmo fotografare in totale libertà, anche se spesso
                                                   dietro di noi c’era qualcuno in divisa; solo in un’occasione ci scontrammo con il
       “regime”, eravamo su un autobus a Creta, diretti verso un paesino dell’interno, e dal finestrino mi apprestavo a fotografare
       una caserma sulla cui facciata c’erano dei manifesti propagandistici imbrattati e strappati. Mentre stavo scattando, l’obiettivo
       si oscurò coperto dalla mano di un militare che era seduto dietro di noi, mi guardò con severità facendomi capire che non era
       il caso. Da quel momento fummo molto più attenti a dove puntavamo i nostri obiettivi. Il carcere lo fotografammo solo da
       fuori e da lontano, da uno dei tanti traghetti presi in questo viaggio e ci fu impedito di andare a Monte Athos, altro luogo che
       avevamo progettato di fotografare.
       Tuttavia per quanto mi riguarda fui molto colpito emotivamente da quel viaggio, avevo avuto modo di osservare la gente, i greci,
       da vicino e cogliere le loro esistenze, scoprii che mi erano familiari, sentivo di aver ritrovato le mie radici. In questo libro i loro
       volti, i loro luoghi e le loro vite.

       *Sono passati molti anni e non sempre, nel corso dei viaggi, ho annotato con precisione le località, per cui nelle didascalie mi sono affidato anche alla
       memoria.

       Per scelta ho sempre scattato le foto a mano libera, non mi sono mai servito del cavalletto che avrebbe impedito l’immedia-
       tezza della ripresa e non ho mai utilizzato fonti di luce supplementare oltre a quella esistente nel momento della ripresa, affi-
       dando all’Ilford HP4 o alla Kodak Tri X-Pan tirate a 800/1600 o anche più (gli addetti ai lavori comprenderanno) e ad 1/30
       di secondo la possibilità di cogliere immagini, persone, situazioni ed emozioni anche in condizioni di luce precaria, ben con-
       sapevole che queste modalità avrebbero influito sulla qualità tecnica delle foto, facendo aumentare la grana e correndo il ri-
       schio di scatti mossi, non perfettamente a fuoco o con poca profondità di campo.
       Ma a me interessava avere l’immagine, cogliere e fermare, in quel luogo ed in quel momento, quell’insostituibile istante di vita
       che condividevo con il mio soggetto. Per me era quella l’essenza della fotografia.





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