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la guerra del Peloponneso. Nello stesso anno viene rappresentata la Medea, che denuncia alcuni problemi dell’epoca sfruttando la narrazione fuori dal tempo del mito.
Euripide vive in quel clima di trasformazioni, tra tensioni politiche e culturali, di cui restano evidenti riferimenti nella sua produzione teatrale: essi mettono in evidenza quanto fosse immerso nella realtà politica, culturale e sociale, e con quale sensibilità reagisse ai mutamenti che avvenivano all'interno della polis.
Euripidescegliediriprenderedallatradizione del mito classico il personaggio di Medea, una donna dai grandi poteri magici, che ha una profonda conoscenza dei cosiddetti ‘pharmakon’ (φάρμακον), che possono indicare sia un veleno sia una medicina. Le donne nell’antichità erano temutissime per quest’arte antica ed esclusivamente femminile, al punto da venir uccise se sospettate di essere delle streghe.
Oltre a questo Medea incarna perfettamente la figura dell’esule, infatti, tradendo la patria e suo padre, ella lascia la sua vita da principessa e la sua casa. Medea diventa migrante, e la sua unica certezza sembra essere il suo uomo, che però l’abbandona a sua volta. Medea a Corinto è una straniera e non possiede nulla, per di più viene vista con sospetto se non sdegno e terrore dagli abitanti della città, essendo una maga e avendo una storia oscura alle spalle, che non escludeva omicidi e avvelenamenti.
Medea è una donna tradita e che ha tradito, una donna che viene da lontano. Viene dal mondo in cui il Sole sorge. Viene dall’Oriente, ha un’altra cultura. È “barbara”, letteralmente “colei che balbetta in lingua greca”. Evidentemente agli occhi dei cittadini questa misteriosa donna dalle strane usanze, con cui è difficile persino comunicare e di cui tutti diffidano, compreso suo marito, è vista come un pericolo e perciò il re decide di bandirla dalla città.
Se però vediamo la sua situazione dal suo punto di vista, riconosciamo in Medea un’esule stanca e affaticata dai continui spostamenti, che tenta di integrarsi ma viene puntualmente esclusa, non riuscendo ad uniformarsi ad una società così diversa dalla sua, che la vede come un nemico e non le riconosce nemmeno i diritti di base.
Questo suo eterno peregrinare senza mai piantare radici la segna profondamente e la terrorizza. Medea-migrante è alla ricerca di stabilità e ogni volta che è costretta a ripartire sembra che perda una parte di sé, della sua umanità, in maniera speculare a coloro che la cacciano.
Anche il gesto di uccidere i figli calato in questo contesto assume un significato più profondo: Medea, vittima di pregiudizi o indifferenza, spogliata di ogni diritto, non ha altri mezzi per esprimersi se non la violenza. È un dolore conflittuale ad affliggere l’eroina, che fino all’ultimo secondo non è certa di avere la forza necessaria per compiere un tale sacrilegio. L’infanticidio di cui si macchia sottolinea la disperazione di questa donna, che vaga invano alla ricerca di un posto da chiamare casa.
Euripide vuole criticare la società greca del tempo, che era estremamente greco-centrica e non ammetteva l’altro, classificandolo come rozzo e primitivo in confronto con la cultura razionale della polis. Inoltre, facendo uccidere i bambini a Medea e non agli abitanti di Corinto, come invece prevedeva la tradizione mitica, il tragediografo fa emergere maggiormente la problematica dell’ostilità nei confronti del diverso. Questo tema viene trattato da Euripide anche perché, con la guerra del Peloponneso, gli ateniesi dovevano costantemente confrontarsi con persone di altre origini. Forse Euripide mette in scena il dramma di Medea affinché sia di monito agli uomini e li inviti a mostrare più empatia nei confronti dell’altro, poiché altrimenti il loro comportamento provocherà danni imprevedibili i cui effetti saranno deleteri.
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