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affinché qualcuno intervenga ma lo scopo formale è di tutela delle frontiere ed è un passaggio gravissimo.
Molti degli immigrati sono eritrei proprio perché lì c’è una dittatura molto forte, considerata peggiore di quella della Corea del Nord e i vescovi in due documenti hanno messo in evidenza la chiusura di molte strutture cattoliche in Eritrea. L’Italia è l’unico paese europeo che mantiene rapporti diplomatici con l’Eritrea e, se non si fa qualcosa con il governo eritreo, si può discutere di tutti i salvataggi e di tutto quanto ma da lì continueranno a scappare a causa del servizio militare a tempo indeterminato obbligatorio anche per le donne.
Se non si va quindi alla fonte della malattia, anche le cure non servono. Ci sono tante persone molto impegnate ad aiutare e a far conoscere la situazione, ma la sensazione è di non contare niente, di non incidere.
Il contributo che noi possiamo dare è la razionalità. Si chiede di ragionare su ciò che veramente serve a creare più sicurezza per tutti.
L'Eritrea è una nazionalità che, anche in base agli accordi europei del 2012, gode automaticamente della protezione e la protezione le viene riconosciuta per nazionalità. Quello che non si spiega sono coloro che dicono di accogliere solo quelli che fuggono da guerre e non gli altri, ma chi lo decide? Chi è che fa la selezione di chi sbarca? Se su una nave che abbiamo respinto e rimandato in Libia c’è un eritreo, si viola una norma fondamentale dei patti che reggono l’intera umanità. Allora il diritto di queste persone è di venire qui e di chiedere, poi si prenderanno le precauzioni necessarie ma hanno diritto di fare richiesta. Ovvio che valutare queste domande comporta una serie di complicazioni perché nessuno
ha la prova piena di quello che si dice. È un procedimento lungo nel quale è compresa anche una valutazione psicologica delle persone che arrivano. Arrivare in Italia dopo un’esperienza del genere è complicato, ma è un compito che si deve assumere.
Tante persone sono morte ma per fortuna tante altre sono riuscite ad arrivare dall’altra parte. Per loro, però, è iniziato un altro percorso: l’identificazione e il trasferimento in tutta Italia. C’è stato una distribuzione in rapporto al numero di cittadini di ogni regione. Queste persone si trovano sparse in ogni regione italiana. Un altro grande problema sono le tempistiche e la normativa correlata alla richiesta d’asilo, all’ottenimento dello status di rifugiato. Per di più molti di loro, quando si sono recati all’estero, sono dovuti poi rientrare in Italia per il trattato di Dublino, una normativa non semplice sia a livello nazionale che internazionale. Attualmente si spera che si portino alcune modifiche. Negli ultimi tempi è stato approvato un decreto sicurezza bis, che però ha complicato ancora di più la gestione dell’accoglienza
È difficile parlare di regole e di violazione delle regole, di norme, di accordi e di principi che vengono dati e che poi vengono trascurati dopo le testimonianze vive delle persone. Due mesi fa mi trovavo in Niger per monitorare un programma europeo con l’UNHCR e altri soggetti consistente nel cercare di recuperare alcune persone dalla Libia, portarli in Niger, uno stato che ha una minima struttura statale funzionante, e da lì con una serie di accordi distribuirli nei diversi stati europei, ma ci siamo accorti subito di due cose che vanno tenute come faro del discorso.
La prima è che, qualunque cosa accada e si faccia, è enormemente difficile, tanto
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