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3.2. Non proprio mestieri: attività
remunerative a Roggiano raccontate da
Settimio Prezio
Per questo volume, Settimio Prezio ci ha concesso di scavare ancora una
volta nella sua memoria e quanto segue è frutto della sua preziosa
testimonianza.
Racconta che, a Roggiano, nel ‘600 e ‘700, l’attività massimamente fiorente
era la lavorazione della ginestra tant’è che è persistita fino agli anni ’30 del
Novecento. Quest’attività aveva le caratteristiche di una vera e propria
industria e prevedeva l’essiccazione delle ginestre le quali venivano poi
lavorate al telaio. I tessitori di ginestra erano detti “i mast’ i tilaiu” ed erano
dislocati in tutto il territorio roggianese.
A Roggiano vi era una grande produzione di fichi, che venivano
successivamente raccolti ed essiccati. La fama dei fichi secchi roggianesi
era tale che gli acquirenti venivano da fuori per comprarli. Fra i mestieri
totalmente scomparsi c’è quello del sellaio, produttore di selle da cavallo, e
quello dello stagnaro cioè colui che aggiungeva lo stagno alle pentole.
Poiché le pentole erano di ferro, perché fossero messe in sicurezza e se ne
migliorasse la qualità, vi si aggiungeva lo stagno. C’era poi il cosiddetto
“ammula forbice” che affilava coltelli e forbici, una sorta di antenato
dell’arrotino.
A Roggiano si realizzavano anche mandolini e chitarre ma era un mercato
molto ristretto, non si esportavano e, fino al 1950, si raccoglieva la
“pastinaca”: piantine che venivano trasformate in liquirizia.
La produzione caratteristica di Roggiano è sempre stata il peperone. Il
peperone roggianese di allora è diverso, in termini di gusto, dal peperone
roggianese odierno perché la sementa originale è andata perduta. I
“mariniaddhri”, persone provenienti dalle aree marittime come Cetraro,
portavano il pescato e lo barattavano con il peperone roggianese ritenuto
di fine qualità.
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