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Tante di quelle volte, durante le sedute di laurea, ero
          insieme ai miei colleghi, tutti seduti davanti ai candidati, i loro
          genitori e gli amici. Ero quasi sempre l’unico commissario di

          origine straniera, un’origine talmente lontana, con una lingua
          appartenente ad un ceppo completamente diverso e distante da
          quello italiano.


                 Non so quante volte morivo di invidia, quando vedevo che
          i  miei  colleghi,  con  sicurezza,  gran  competenza  e  facilità,

          introducevano il lavoro seguito e completato dei loro studenti
          laureandi, non potevano certo immaginare che, dietro quella
          mia  simpatica  e  esotica  maschera  di  indifferenza  e  finta

          sicurezza,  soffrivo  di  insicurezza,  timore,  imbarazzo  e
          perplessità e,  a volte, perfino sensazione di forte incapacità e
          impotenza. Non sanno per quante ore ho dovuto preparare a
          casa  i  discorsi  di  introduzione  delle  tesi  redate  dai  miei

          laureandi.


                 Non  penso  che  sia  una  cosa  che  si  possa  capire,  e
          soprattutto  raccontare  in  modo  così  crudo,  in  quanto,
          generalmente alla gente non piace nemmeno perdere la faccia
          ad ammettere la  debolezza e l’incapacità. Eppure per me è una

          liberazione,  questo  è  tutto  ciò  che  sentivo,  quando  c’è
          percezione di inadeguatezza significa che c’è anche spazio per
          il miglioramento, per poter imparare ancora molte cose nuove

          nella vita e dagli altri.


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