Page 113 - L'INVENZIONE DEL BUIO
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Io - Mi ripeti questa storia di Dio?
Lui - A causa della sua natura informe, l’infinito potrà essere
colto solo attraverso un’infinita approssimazione. Perciò
ogni tentativo di raggiungerlo sa, o dovrebbe sapere, di
essere votato al fallimento. Per evitare la frustrazione e
rassicurarci dinanzi alla vertigine di un processo mai
concluso, abbiamo inventato quella felice forma di non
sapere che è la coscienza del bello. Spesso ci rifugiamo
nella bellezza artistica perché ci fa credere che esista
qualcosa alla nostra portata, un pezzo d’infinito che può
essere raggiunto, conquistato. Questo pezzo d’infinito
– che si presenta come una tappa compiuta nella ricerca
d’infinito, e che tende ad aggiungersi al bello come suo
valore, esplicito o implicito – è ciò che chiamiamo
perfezione. L’errore fondamentale, dal quale sono discese
enormi conseguenze, è che abbiamo sempre confuso, o
voluto confondere, l’infinito con la perfezione.
Al contrario, la perfezione è una medicina contro la
difficoltà a rapportarsi fino in fondo con l’infinito, contro
l’angoscia di essere esposti al carattere sublime
dell’informe. Una medicina illusoria e che cura attraverso
la sua stessa illusione.
Io - E Dio?
Lui - Beh, non potrebbe esserci esempio migliore. Prendi la
sua rappresentazione antropomorfa. Ha prodotto tanta
bellezza, basti pensare al carattere religioso di molti
capolavori della storia dell’arte. Tuttavia converrai che è
grottesco raffigurarsi il divino con delle fattezze umane. È
una barzelletta. Dietro la quale si nasconde però qualcosa
di molto serio: una poderosa operazione di esorcismo
rispetto alla rappresentazione dell’irrappresentabile. Che
poi è il nodo fondamentale. Arte e religione si danno una
mano a vicenda per consolarci. Ci invitano a occultare
l’abisso verso cui fanno segno.
Io - Capisco. Hai studiato bene il libro della Terra.
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