Page 119 - L'INVENZIONE DEL BUIO
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Lui - Dimmi, com’è fatta?
          Io   - Non ci trovo nulla di particolare.
          Lui - Descrivimela.
          Io   - È una grossa pietra grigia di forma rettangolare, un po’
              smussata agli angoli. Misura circa un metro e mezzo di
              larghezza e tre di lunghezza. Dev’essere molto antica. La
              superficie è butterata a causa dell’erosione. L’unica cosa
              degna di nota è che s’intravedono delle venature nere e
              lucide. Sembra ossidiana. Come se sotto la scorza rugosa,
              maltrattata dal tempo, si celasse qualcos’altro.
                Un frutto brillante ancora intatto. Però, scusa, da quando
              sei interessato a quello che vedo? Hai forse bisogno della
              vista adesso?
          Lui - Non ho mai detto che la vista fosse inutile. Dico solo
              che per ricominciare a vivere, e per farlo in modo diverso
              essendo la forma di vita precedente ormai impraticabile,
              abbiamo dovuto buttarla giù dal trono.
                La vista è di per sé un architetto. Nel nostro caso poi,
              come ti dicevo, non si limitava a cercare le forme
              monumentali, per accoppiarsi con esse, ma letteralmente
              le produceva. Riesci a immaginare una vita fatta solo di
              monumenti? Non ci sono eventi. Non ci sono incontri.
              Non c’è esperienza. Non c’è storia. È il più infernale dei
              paradisi.
                Se si vuole invece che nascano nuovi mosaici, è necessario
              fare a pezzi la monumentalità visiva. E solo assemblando
              tra loro, come pezzi di una zattera, i frammenti sensoriali
              eterogenei, si potrà sperare di attraversare il diluvio e di
              salvarsi.
          Io   - D’accordo. Ma che cosa ha di speciale questo vecchio
              masso? Al punto da spingerti a chiedere il mio aiuto?

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