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Cos’è un fotoracconto.
Alla fine degli anni Sessanta diventò molto frequente l’uso di privilegiare sequenze
fotografiche su un determinato argomento invece di limitarsi allo scatto unico. Il
racconto fotografico divenne perfino una sezione a sé nei vari concorsi fotogra-
fici, amatoriali e professionali.
Il fotoracconto è l’incontro, se così si può dire, tra la streetphoto e il fotorepor-
tage, della prima ha l’occasionalità e la non programmazione, del secondo la vo-
lontà di narrare, con una sequenza di immagini, più o meno lunga, un
avvenimento estemporaneo colto, in questo caso, fortuitamente e, rispetto al fo-
toreportage, non ha alcuna intenzionalità e fine commerciale di pubblicazione.
Sguardi da vicino su Napoli
Da molti anni, ormai, ho lasciato Napoli e mi sono trasferito, e ne sono felice, in
campagna, in un casale nascosto tra uliveti e boschi in provincia di Salerno.
Ma, è inutile negarmelo, il mio cuore è rimasto lì, nella terra della Sirena e ogni
tanto, ma non di frequente, con la scusa di andare a trovare mia sorella che tut-
tora abita la vecchia casa di famiglia sui Quartieri Spagnoli, vado a Napoli.
In genere mi faccio lasciare o raggiungo piazza Carlo III e da lì inizia il mio “pelle-
grinaggio” forse monotono, lungo le vie del centro antico della città, qualche volta
faccio deviazioni nei dintorni e ancora, dopo 74 anni, scopro stradine e vicoli che
non avevo mai frequentato, ma nei quali mi ritrovo come ci fossi sempre stato.
Il mio itinerario è, in linea di massima, questo: via Foria, via Duomo, via Tribunali,
via San Biagio dei Librai, piazza del Gesù Nuovo, via Toledo, Quartieri Spagnoli,
ma non tralascio via Costantinopoli, piazza Bellini, piazza Dante, insomma tutto
il centro storico.
In una di queste occasioni ho iniziato a scattare foto con il cellulare, normalmente
non è una mia abitudine frequente, ma ho sentito il bisogno di fermare, oltre che
nella memoria, anche con qualcosa di replicabile, quello che andavo vedendo in
luoghi che conoscevo da sempre e che in quella giornata mi parlavano con parole
nuove, permettendomi di scoprire particolari che erano sempre stati lì ma che io
non avevo mai colto con l’attenzione che meritavano; o situazioni ambientali da
me ben conosciute, che stavano vivendo e rappresentando una nuova realtà so-
ciale. E ho fermato nel ricordo e nella memoria virtuale anche persone, poche, ho
cercato più i segni che l’uomo ha tracciato nel suo percorso in questi luoghi.
Sono nati così i primi tre racconti di questo libro, gli altri due, realizzati in tempi
precedenti, sono stati qui inseriti e accomunati ai precedenti, in conseguenza di
questa riflessione sul guardato e non visto, nel senso di opere talmente grandi ed
importanti che raramente si indagano nei minimi particolari, che invece narrano
storie incredibili. Naturalmente il tutto è estremamente parziale e non rappre-
senta, non lo potrebbe e neanche lo vuole, la totalità della ricchezza di una città
come Napoli, dove ogni pietra del centro antico ha una storia da raccontare che
pochi hanno già conosciuto. Un invito a guardare con altri occhi.
Per scelta ho sempre scattato le foto a mano libera, non mi sono mai servito del
cavalletto che avrebbe impedito l’immediatezza della ripresa e non ho mai utiliz-
zato, se non in casi rarissimi, fonti di luce supplementare oltre a quella esistente
nel momento della ripresa, affidando all’Ilford HP4 o alla Kodak Tri X-Pan tirate
a 800/1600 o anche più (gli addetti ai lavori comprenderanno) e ad 1/30 di se-
condo la possibilità di cogliere immagini, persone, situazioni ed emozioni anche
in condizioni di luce precaria, ben consapevole che queste modalità avrebbero in-
fluito sulla qualità tecnica delle foto, facendo aumentare la grana e correndo il ri-
schio di scatti mossi, non perfettamente a fuoco o con poca profondità di campo.
Ma a me interessava avere l’immagine, cogliere e fermare, in quel luogo ed in quel
momento, quell’insostituibile istante di vita che condividevo con il mio soggetto.
Per me era quella l’essenza della fotografia.
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