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 E’ molto difficile per me ricordare quella giornata, non perché debba fare sforzi di memoria, ma proprio perché è una di quelle cose talmente grandi che ti succedono nella vita che faccio fatica a ricordare quel giorno, che poi in realtà quel giorno non durò solo quel giorno.
Ero già sindaco da un anno e mezzo e già provavo insopportabilità per tutte le morti che venivano scaricate sul molo. Lampedusa accoglieva, infatti, vivi e morti e fino a quel momento non erano tanti coloro che avevano la consapevolezza di quanto fosse grande questa tragedia che si aveva e si ha in mare quotidianamente e di quanto grande fosse l’opera di Lampedusa e di quanto pieno fosse il cimitero dell’isola.
L’unico che aveva chiarissima la situazione e che fu profetico fu Papa Francesco, che venne prima del naufragio, nel luglio del 2013. Il Papa sapeva della situazione, dei
20000 mila morti e più che si trovavano sul fondo del mare. Quei morti non li ha mai contati nessuno e mai nessuno lo farà; solo qualche moglie, qualche fratello saprà che non è tornato un pezzo del suo cuore, che non ha più avuto notizie dei suoi cari che sono partiti.
La dimensione della tragedia nel Mediterraneo è grande, eppure per i cittadini di Lampedusa il fatto era molto chiaro. Nei miei primi mesi di sindacatura era insopportabile il rapporto con la morte e con quei corpi decomposti ripescati dopo giorni. Non era necessario che arrivassero i 368 morti del 3 ottobre per darmi l’idea della tragedia, non solo perché l’essere umano è unico e irripetibile, ogni vita è preziosa, ma perché ogni cadavere che veniva consegnato era simbolo di una strage più grande, era simbolo di tutti quei corpi mai recuperati e di cui mai nessuno aveva saputo nulla.
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