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sono dimenticati da tutti, sono coloro che scappano per non fare il servizio militare obbligatorio, scappano da una delle dittature più feroci del nostro tempo ed è un paese con cui l’Italia continua ad intrattenere numerosi rapporti diplomatici ed economici. Eppure il nostro Stato riconosce ai ragazzi il diritto d’asilo a coloro che fuggono, è una grande contraddizione.
Si ripete sempre che si fugge dalle guerre e dalla fame, ma si dimentica che c’è anche una parte di ragazzi che oggi fugge per la libertà, perché non ha la possibilità di avere una vita normale come tutti gli altri ragazzi, di andare a scuola, di seguire un progetto di futuro. Molti morirono quasi subito, non sapevano nuotare, quasi nessuno sa nuotare. Mi è capitato di parlare con una donna sudanese sopravvissuta ad un naufragio del 2016, in cui ci furono pochi superstiti tra cui solo lei e un’altra donna. Mi ha raccontato di essersi salvata, perché i soccorsi arrivarono dopo tre ore, non riuscì ad aggrapparsi a nulla di galleggiante se non a un corpo di un uomo morto; era sconvolta, piangeva e si sentiva terribilmente in colpa perché continuava a ripetere che lei era viva, ma solo grazie alla morte di un altro uomo che le ha permesso di aggrapparsi; chi non è riuscito a trovare nulla di galleggiante è subito andato a fondo. C’erano moltissime persone rinchiuse nella stiva senza possibilità di fuga e che sono state recuperate dai sub con operazioni difficilissime durate per giorni. Alcune di loro riuscirono ad aggrapparsi e nuotare. Non hanno saputo dire quanto tempo siano state in acqua; non hanno avuto la percezione del tempo e quella mattina i primi a vederle sono state tre barche di soccorritori, una del soccorso lampedusano e due barche del porto che sono state attratte dalle urla. Sembravano urla di gabbiano, pianti di bambini e si sono trovati davanti a quella situazione terribile,
con mani che chiedevano aiuto, mani che andavano a fondo. Il mare era pieno di corpi. Quando il comandante mi chiamò al mattino, capii subito dal tono di voce che non era qualcosa che avevamo già vissuto ma qualcosa di più grande. Il comandante mi disse che un’imbarcazione si era capovolta e immediatamente, come ero abituata ormai a fare, gli chiesi: <<Quanti morti?>>.
Era una domanda che mi veniva d’istinto, ma lui non rispondeva e allora continuai ad insistere finché lui mi disse: <<Sindaco, il mare è pieno di morti, abbiamo bisogno d’aiuto perché ci sono ancora persone vive da soccorrere e c’è bisogno di tutti>>.
Immediatamente iniziai a chiamare tutti i pescatori di cui avevo il numero, tutti i centri di Diving Center di Lampedusa, tutte le persone che avevano una barca, dicendo di accorrere perché c’era bisogno di tutti, perché prima si prendevano e più se ne salvavano.
Scesi subito al molo e arrivò la prima barca con alcuni superstiti e alcuni corpi e poi altre due barche. Successivamente motovedette della guardia costiera e dei carabinieri portarono tutti gli altri corpi. Alcuni sembravano morti, ma venivano poi rianimati sulla banchina: due donne erano incinta e avevano grandi problemi respiratori perché avevano ingoiato acqua di mare e carburante insieme.
Dovevo cercare di parlare il prima possibile con i superstiti per capire quanti fossero e quanto fosse grande il numero di persone, quanto bisognava ancora cercare, quanti corpi e quanti vivi potevamo ancora cercare. Dovevamo capire se c’erano bambini; poi scoprimmo che c’erano ma purtroppo erano tutti morti, esattamente 14 bare bianche, bambini di 2/3 anni, ma anche neonati di pochi mesi. Sulla prima barca arrivarono due bambini, probabilmente fratellini,
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