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ne della parte più nobile del por- co, generoso quadrupede che a Parma è venerato come re de- gli animali. Non a caso da vivo è chiamato “gosén”, e da morto, cioè dopo il suo sacrificio e la re- surrezione sotto forma di salume, è detto “nimèl”, l'animale per ec- cellenza. Primo tra i prosciutti ita- liani a denominazione di origine e tipica, il Parma è un preciso punto di riferimento per la produzione mondiale dei prosciutti. Tradizione, tecnologie, ricerche continue e un iter produttivo mol- to complesso danno risultati di as- soluta garanzia.
Dai maiali che sono stati tenuti a balia, la parola tecnica è “stabu- lazione”, secondo le ferree rego- le del disciplinare del Consorzio, dopo la macellazione si ricavano le cosce, che non devono esse- re inferiori ai 10 chili di peso: la sezionatura è fatta in modo da asportare anche la parte che sta sotto l'articolazione del ginocchio, per ottenere la forma inconfondi- bile del Parma, detta a “coscia di pollo”.
Nelle lunghe e complesse opera- zioni che seguono, dalla rifilatura alla marchiatura a fuoco e poi al controllo da parte dei tecnici as- saggiatori che entrano con un ago d'osso in ogni prosciutto per verificare al naso se tutto il delica- to processo è stato fatto a dovere, due hanno particolare importan- za: la salatura della coscia, che è una vera e propria arte per otte- nere sapore ma anche dolcezza e fragranza, e la stagionatura. Ap- pesi in grandi ambenti rettango- lari, con tante finestre sui lati più lunghi, i prosciutti se ne stanno tre settimane a godersi l'aria buona, il cui flusso so viene regolato e con- trollato secondo l'umidità. L’obbiettivo è l’evaporazione dell'acqua contenuta nella carne: non a caso il termine prosciutto
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