Page 15 - Mary Shelley
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Si fermò, guardandomi con stupore, e voltatosi di nuovo verso la figura senza vita del suo creatore, sembrò scordarsi della mia presenza, e ogni lineamento e ogni gesto sembrarono istigati dalla rabbia più selvaggia e da una sorta di incontrollabile passione. «Anche questa è una mia vittima! - esclamò - Nel suo assassinio i miei crimini sono consumati; la mia miserabile esistenza è giunta alla sua conclusione! Oh, Frankenstein! Generoso e devoto essere! Cosa importa se ora ti chiedo di perdonarmi? Io, che ti ho irrevocabilmente distrutto, distruggendo tutti coloro che tu amavi. Ahimè! È freddo, non può rispondermi».
La sua voce sembrava soffocata, e i miei primi impulsi, che mi venivano suggeriti dal dovere di obbedire alla richiesta del mio amico morente di distruggere il suo nemico, furono sospesi da un misto di curiosità e di compassione. Mi avvicinai a questo terribile essere; non osavo alzare gli occhi verso il suo volto, c’era qualcosa di troppo spaventoso e inumano nella sua bruttezza. Cercai di parlare, ma le parole mi morirono sulle labbra. Il mostro continuava a pronunciare rimproveri selvaggi e incoerenti contro se stesso. Alla fine presi la decisione di rivolgermi a lui in una pausa della tempesta della sua passione «Il tuo pentimento - dissi - è ora superfluo. Se avessi ascoltato la voce della coscienza e dato retta ai pungoli del rimorso prima di spingere la tua diabolica vendetta al suo estremo, Frankenstein sarebbe ancora vivo».
«Ma tu sogni? - disse il demone - Pensi che fossi insensibile all’angoscia e al rimorso? Egli non ha sofferto nella consumazione dei crimini. Oh! Non la decimillesima parte dell’angoscia che ho provato io durante il lento indugiare nell’esecuzione. Un egoismo spaventoso mi spingeva avanti, mentre il mio cuore era avvelenato dal rimorso. Pensi che i lamenti di Clerval fossero musica per le mie orecchie? Il mio cuore era fatto per essere sensibile all’amore e alla comprensione, e quando fu sviato dalla sofferenza al male e all’odio, non ha sopportato la violenza del cambiamento senza una tortura che tu neanche puoi immaginare».
Dopo l’assassinio di Clerval, sono tornato in Svizzera, col cuore a pezzi e sconfitto. Avevo pietà di Frankenstein; la mia pietà divenne orrore; aborrivo me stesso. Ma quando scoprii che lui, l’autore della mia esistenza e, nello stesso tempo, dei suoi indicibili tormenti osava aspirare alla felicità; che
mentre accumulava disgrazia e disperazione su di me, egli cercava la sua gioia in sentimenti e passioni dal cui appagamento io ero escluso per sempre, allora un’invidia impotente e un’amara indignazione mi riempirono di un’insaziabile sete di vendetta. Ricordai la mia minaccia e decisi che doveva essere eseguita.
«Sapevo che mi slavo preparando una tortura mortale, ma io ero lo schiavo, non il padrone, di un impulso che detestavo, ma a cui non potevo disobbedire. Ma quando lei morì! No. allora non ero infelice. Avevo gettato tutti i sentimenti, soggiogato ogni angoscia, per abbandonarmi agli eccessi della mia disperazione. Da allora il male


































































































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