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perché, quando ero in Siria, vedevo i grandi nobili con armi italiane e quindi si ha uno strano modo di aiutarli a casa loro. Anche gli accordi che l’Italia fa con la Libia sono molto strani e per la maggior parte delle volte sono accordi segreti tanto che è stata infatti anche indetta una commissione in Parlamento sugli accordi tra Italia e Libia, ma non è stata accettata.
Li aiutiamo in modo strano mille volte. Ai tempi della globalizzazione non si capisce perché si diceva di tener conto di come una variazione dello 0,1% della borsa di Tokyo poteva influire sull’economia italiana, ma allo stesso modo non dovremmo unire i fatti.
Vorrei raccontare un fatto noto che però non viene visto sotto la luce del tema migratorio. Nel 2015 hanno raccolto le prime prove di bombe italiane per la coalizione saudita nello Yemen. Una cosa che non viene mai detta è che ogni anno dal Corno d’Africa, quindi in paesi come la Somalia, Etiopia, Eritrea, Sudan, circa 150 mila persone, attraverso i pirati somali, con i barconi raggiungevano la penisola araba facendo sostanzialmente gli schiavi, sono coloro che stanno costruendo gli stadi per i prossimi mondiali di calcio. A nessuno fa piacere sentire questo fatto come esempio di immigrazione però avveniva e si tratta di persone che hanno trovato un lavoro pagato. A cause della guerre nello Yemen, non solo si è ridotto il flusso dal Corno d’Africa, ma circa 145 mila persone l’anno sono scappate per tornare nei paesi d’origine perché dove si trovano a lavorare c’è un conflitto; quando torni nel tuo paese d’origine dopo aver guadagnato qualche soldino nel Sudan o in Somalia, non si ha voglia di restare lì, perché nel frattempo i trafficanti hanno riorganizzato il business rafforzando le rotte verso l’Africa del Nord, inizialmente verso l’Egitto poi la Libia, la Tunisia e via dicendo.
Quindi c’è una correlazione diretta che non viene raccontata tra il conflitto nello Yemen e l’aumento della pressione migratoria
in Europa. Però nessuno si è preso la responsabilità di dire in questi anni che si sta partecipando direttamente o indirettamente a questo conflitto, fornendo le armi a chi sta combattendo in quella guerra. Il fatto che l’Italia sia stata il massimo esportatore di bombe aeree nello Yemen e che l’esportazione di bombe avviene solo dopo autorizzazione governativa fa molto arrabbiare. L’inchiesta giornalistica è stata possibile grazie a ex parlamentari del Movimento 5 stelle che durante la notte si sono recati nell’aeroporto di Cagliari per fotografare le bombe che sarebbero poi state spedite.
La promessa nel 2015 era quella di interrompere l’esportazione di queste armi, ciò però è accaduto solo qualche settimana fa e, nel frattempo, l’Arabia Saudita ha fatto scorta di armi. L’azienda ora dice che per colpa di giornalisti e di alcuni attivisti è costretta a chiudere e quindi a licenziare duecento persone, ma non si tratta di un vero licenziamento perché erano contratti a termine. Il dato di fatto è che non si è sentito un solo esponente di governo prendersi la responsabilità di dire che noi abbiamo un interesse economico- politico a partecipare a questo conflitto. La politica italiana dice che dobbiamo esserci in questo conflitto, ma a causa di questo dobbiamo prenderci un numero maggiore di immigrati, che non sono profughi di guerra, anche qui si entra nello schema migrante economico e profugo di guerra.
Se sono keniani che sono scappati dallo Yemen non gli viene riconosciuto lo status di guerra, sono degli immigranti economici dal punto di vista tecnico. In sostanza però non sono immigrati economici, perché, se domani scoppiasse una guerra in Italia e noi scappassimo tutti in Svizzera, non sarebbe coerente che a noi viene dato lo status di rifugiato e invece una colf, ad esempio di origine moldava, non avrebbe diritto allo status di rifugiato ma di migrante economico se anche lei scappa dalla guerra come sta
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