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informazioni del prodotto e della piattaforma su cui si sta acquistando, si consultano le recensioni perché non si vuole essere fregati. Allora perché, quando si leggono le notizie su internet, non si ha lo stesso livello di guardia? Perchéprobabilmentevogliamoesserefregati, è inutile girare troppo attorno alla cosa.
Quanti cinesi, filippini, sudamericani ci sono sui barconi? Eppure non è che nelle città italiane non mancano. Siamo quindi caduti tutti in questa trappola politico-mediatica per cui ce la prendiamo con gli ultimi tra gli ultimi che è anche più facile perché hanno un colore della pelle diverso dal nostro; è una forma di razzismo indotto, per cui inconsapevolmente siamo diventati razzisti, ci si concentra solo su una fascia di persone che hanno un colore di pelle diverso dal nostro, che vengono da un solo continente e che non hanno la possibilità di aggirare le norme prendendo un aereo con un visto turistico per arrivare in Italia, far trascorrere i 90 giorni di visto e rimanere qui regolarmente. Però, se si fa notare a qualche politico questo aspetto, arriva sempre quello intelligente che dice: “Ha ragione, ha ragione dovremmo operare una stretta sui visti turistici”. Siamo dentro un sistema terribile, in cui si sta cercando di cambiare l’essenza della nostra coscienza e l’informazione ha un ruolo fondamentale.
Quando sono salito per la prima volta su una nave di salvataggio, il comandante Riccardo Gatti, quando parlavo con lui, mi diceva che non dovevo guardarlo in faccia, ma io non capivo perché. Mi spiegò allora che, quando parlavano, loro guardavano sempre fuori il mare, perché una cosa che pochi sanno è che sei minuti è il tempo che passa tra la vita e la morte. Secondo le statistiche quei sei minuti sono il tempo necessario per una persona per essere vista da una nave. Allora quando sei in mare, sia di giorno che di notte, e non vedi nessun barcone, non sei tranquillo ma ti domandi: << Forse c’è qualcuno che non ho visto?>>.
Quando incontri in mare un barcone vuoto, è un “cazzotto” allo stomaco, e quando non c’è nessuna indicazione con lo spray della nave che ha salvato quelle persone la disperazione è doppia. Quando si fanno i salvataggi in mare, infatti, con una bomboletta spray o con della vernice si scrive SAR, la data e il mezzo navale che è intervenuto così nel caso in cui il relitto del gommone venisse recuperato dopo molto tempo, ci si mette l’animo in pace perché si sa che qualcuno è intervenuto. Il problema è che, quando a intervenire sono i libici, non segnano mai le navi. Questo significa che, quando si incontrano quei barconi senza scritta, non sai se sono stati riportati nelle prigioni libiche o se sono naufragati.
Qualche settimana fa mi trovavo sulla nave “Mare Ionio” non solo a fare il mio lavoro di giornalista che riporta ciò che accade ma anche ad aiutare nel salvataggio delle persone. Ciò che mi ha scioccato, dopo il salvataggio di 98 persone, è che sei di loro erano morti cadendo in acqua perché il gommone cominciava a sgonfiarsi; in queste situazioni da una parte ti fai coraggio perché hai salvato numerose vite, dall’altra parte dici: << Se fossimo arrivati due ore prima li avremmo salvati tutti?>>. Questo i soccorritori non lo diranno mai, ma meritano rispetto per questo, perché conviveranno per tutta la loro vita con questo dolore, di chi ha salvato vite e si domanderà: <<Ma forse li potevo salvare tutti>>. E invece siamo arrivati al punto di non provare gratitudine per queste persone, non solo di non avere rispetto per loro ma addirittura di volerle davanti ai tribunali per condannarli per avere aiutato vite.
Oggi uno degli slogan più famosi è “Aiutiamoli a casa loro”, ovvero creiamo i presupposti per una crescita economica, per evitare di affrontare questi viaggi. Se si vanno però a verificare i dati, gli aiuti nei loro paesi sono diminuiti, ovvero li aiutiamo ma i soldi non vengono dati.
Abbiamo tra l’altro un modo molto particolare di aiutare queste persone nei loro paese,
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