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GDP_Par_04092017_23.pdf - Parma - Stampato da: pedrabissi - 04/09/2017 12.02.18
Data 4 settembre 2017 Pagina 23
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LUNEDÌ 4 SETTEMBRE 2017 23 Personaggio: Ildirettored'orchestraèinquestigiorniimpegnatoaRavennacongliallievidell'ItalianOperaAcademy
RAVENNA
«A
allo stesso Verdi, così come il sommo Peppino l’ha scritta. «Ai- da» sta rinascendo nel cantiere dell’Accademia dell’opera Italia- na (Italian opera Academy, la di- zione internazionale) che un Riccardo Muti, rientrato da Sa- lisburgo carico di applausi, di fa- tica e di entusiasmo, governa con un rigore e una passione di intensità prodigiosa.
Dieci giorni di lezioni e prove, cinquanta ore di quelle che il maestro napoletano burbero e sorridente chiama «torture a fin di bene» per gli allievi - i cinque giovani direttori e i quattro mae- stri accompagnatori (da Italia, Svizzera, Finlandia, Iran, Au- stria, Francia, Cina); per i can- tanti prestatisi «a far da cavie per amore di Verdi»; per la sua orchestra giovanile «Cherubi- ni».
L’esito di questa immersione to- tale nell’Egitto reinventato dal grande Peppino e ripercorso con rispettosa devozione purificatri- ce da Muti sarà un’esecuzione in forma di concerto il 12 settem- bre; poi il 14 serata di Gala con il podio tutto per gli allievi.
La prima lezione, Muti al pia- noforte: ed è subito chiaro che sarà un percorso di puntiglioso scavo nelle meraviglie verdiane, a passo lento: i primi venticin- que minuti (d’orologio) servono al direttore per spiegarne due di musica, accordo per accordo: «Sentite? Qui manca un semito- no, è Verdi che vuole significare, sottolineare un sentimento, un’evocazione. Ogni nota di Ver- di è di perfezione musicale e drammaturgica, racconta il ca- rattere, l’anima dei personaggi, le atmosfere. E’ un compositore raffinato, ‘Aida’ è un immenso scrigno di preziosità. Purtroppo è l’opera più bistrattata, tradita, sconciata da esecuzioni sciatte e volgari».
Il maestro napoletano si fa ar- tigiano, un lavoro minuzioso, maniacale: l’opera «egizia» del grande bussetano viene come sezionata, smontata pezzo per pezzo, ripulita di tutte le scorie accumulate dalla routine. Muti si ferma e riferma su dettagli, ac- centi, sul rapporto tra parola e musica. Il teatro Alighieri è col- mo di giovani, il maestro si ri- volge loro supplice per arruolarli nella battaglia culturale in dife- sa dell’italianità: «Aiutatemi, salviamo la nostra meravigliosa lingua e la nostra sublime mu- sica. E’ un dovere etico e morale nei confronti di Verdi, un gigan- te al pari di Michelangelo, di Dante».
«Aida», popolarissima ma trop- po spesso tradita: «Fraintesa da rappresentazioni malate di gi- gantismo, di faraonismo, pira- midi, sfingi, guerrieri e serpenti, cavalli, persino elefanti in scena. Il trionfo, i balli, i cori. Direttori che accettano una comoda rou-
tine, che lasciano fare ai cantan- ti, il pubblico che aspetta l’acuto come i gol allo stadio”, si infer- vora Riccardo Muti. «E’ inaccet- tabile, la vera essenza di ‘Aida’ è intimista, percorsa da sottigliez- ze raffinate musicali, Verdi ha inciso l’anima dei personaggi in maniera stupefacente. Tranne il trionfo e poc’altro, quest’opera è da eseguire come musica da ca- mera».
Muti ripercorre i motivi carat- terizzanti i personaggi, il motivo d’amore di Aida, il motivo della gelosia di Amneris: si sofferma, sottolinea il rapporto tra gli ag- gettivi del testo e l’accento mu- sicale: «Ad Amneris qui manca un semitono, è un vuoto che crea la sensazione di ansia, preoccupazione. Con una nota Verdi crea un mondo».
La perfezione di Verdi, le esecu- zioni troppo spesso grossolane: «Eppure è tutto scritto» escla- ma beffardo il maestro: «Basta leggere, Verdi indica come, la partitura di “Aida” è dissemina- ta di ‘pianissimo’, il libretto col- mo di indicazioni di scena. In- vece l’opera ha avuto una sorte paradossale: viene ritenuta un capolavoro per gli aspetti esecu- tivi che Verdi non voleva, che non ha scritto. Questo è man- canza di rispetto, un’offesa».
E Muti asseconda la propria in- clinazione napoletana alla paro- dia teatrale leggera ed esilaran- te. Mima l’ingresso del Messag- gero («in genere uno sfessato, come si dice a Napoli»); imita «il mezzosopranone che allarga le vocali e diventa un’Amneris volgarissima»; il tenore tronfio che «capisci che canta aspettan- do di sparare l’acuto da tenere lungo in maniera da inguaiare l’orchestra»; Amonasro «in ge- nere fatto arrivare in scena tor- reggiante e minaccioso tra i suoi soldati sconfitti e genuflessi: tut- to il contrario da come dev’es- sere un re che non vuol farsi ri- conoscere».
E Aida che spesso grida come una forsennata: «Mio padre!!!», quando invece deve essere una sgomenta considerazione da te- nere nascosta. Lezione verdiana, lezione di italianità, quella di Riccardo Muti che a settantasei anni ha deciso di lanciare l’en- nesima sfida culturale: il rispet- to, la valorizzazione di uno dei nostri più grandi italiani, artista di respiro europeo: «Figlio degli insegnamenti di Lavigna, segua- ce di Paisiello, quindi della scuo- la napoletana e dello studio sulle partiture di Mozart, Haydn, Schubert, Beethoven. Un artista immenso, un uomo dal ferreo senso del dovere etico e morale. Un grande italiano».
Missione da lungo tempo intra- presa con «eroico» slancio e speranza: «Questa non manca mai», commenta il maestro: «Tuttavia ho la sensazione di es- sere considerato un seccatore, un vecchio arnese...».
E Muti chiude con un’impenna- ta d’orgoglio: «Ma sappiano che continuerò, da napoletano coc- ciuto e molesto, da verdiano as- soluto per di più cittadino ono- rario di Busseto».u
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Vittorio Testa
ida» ricon- segnata in- tatta al pubblico e idealmente
RICCARDO MUTI
Lezione verdiana Lezione di italianità
A 76 anni lancia una nuova sfida culturale: il rispetto e la valorizzazione di uno dei più nostri grandi artisti. «Sono cocciuto, non mi fermerò»
II «Aida» e le tre curiosità parmigiane. Il genio di Verdi che trae da un grido «mu- sicale» di strada il motivo cantato dai sa- cerdoti; lo spettatore reggiano deluso che ottiene il rimborso addirittura da Ver- di stesso. Il famoso, famigerato rimpro- vero del loggione del Regio in disappro- vazione di Carlo Bergonzi: «Grande te- nore verdiano che miracolosamente rie- sce ad eseguire il sibemolle secondo l’in- dicazione di Verdi», racconta Riccardo Muti: «Cioè pianissimo e morendo. Una meraviglia. Risultato? Gelo, dissensi e uno che gli grida ‘Taioli!’, intendendo sbeffeggiarlo paragonandolo a un peral- tro bravo cantante popolare. E quando Bergonzi gli mostra la parte scritta dal compositore, lo sciagurato risponde: ‘Al- lora s’è sbagliato pure Verdi!’. Questo perché parte del pubblico, diseducato da esecuzioni volgari, vuole l’acuto lungo e roboante».
Muti sarcastico commenta in cameri- no: «Bergonzi e Taioli avrebbero avuto tutte le ragioni per costituirsi parte lesa contro il loggionista screanzato».
Verdi, le magie di Verdi che come diceva Bruno Barilli è capace di trovare l’oriente anche in un cocomero nostrano. Anni pri- ma di «Aida» a Parma (1872), Giuseppe Verdi è a passeggio in centro insieme a Giuseppina Strepponi quando sente il ri- petuto richiamo di un merciaio, un rigat-
«Aida», tre curiosità parmigiane
Quando il Cigno rimborsò lo spettatore deluso
tiere ambulante: si ferma, estrae un tac- cuino, traccia un rapido pentagramma e vi annota qualcosa. Secondo un’altra ver- sione, risuona invece la insistita invoca- zione cantilenante di un certo Paita, ven- ditore di pere cotte, ripetente fino allo sfinimento il supplice ritornello «Bojent i pér còtt, bojééént» .
Ed ecco che «Aida» arriva a Parma, la città è in fermento, l’opera scritta da Ver- di per il Pascià del Cairo ha avuto un’eco mondiale. In platea siede il melofilo par- migiano che quel giorno aveva assistito all’interesse del compositore per la si- nuosa perorazione peracottara del ven- ditore.
E stupefatto ritrova l’ostinata nenia del Paita diventata nientemeno che il motivo delle sacerdotesse all’inizio del terzo at- to, sulle parole «O tu che sei di Osiri- de...».
«Aida» ha un successo immenso: «Ver- di viene chiamato al proscenio venti vol- te, la città gli fa dono di uno scettro d’oro, il Genio bussetano è idolatrato». Certo non da Prospero Bertani, abitante a Reg- gio in via San Domenico 5, le gesta del quale Riccardo Muti ripercorre in una meticolosa e divertente rilettura dell’e- pisodio. Il Bertani parte da Reggio in treno per Parma, assiste alla prima, non gli pia- ce per niente ma, ascoltati gli sperticati elogi dei compagni del notturno viaggio di ritorno, decide di riprovare: torna a una replica, ma non cambia parere. Sicché scrive direttamente a Verdi, lamenta d’a- ver speso 31,80 lire tra ferrovia, biglietti e cena (pessima! Alla stazione), d’esser turbato dagli spettri del pentimento di «figlio di famiglia» per aver dilapidato una bella cifretta: ed esige riparazione immediata.
«Vogliate rimettermi tale somma», scrive con tono intimatorio: «E dovete re- stituirmela tosto». La cosa tocca le corde umoristiche del Genio. Ed ecco che Verdi incarica l’editore Ricordi di provvedere al rimborso della spesa al deluso spetta- tore: tranne il costo del pasto, ché, iro- nizza Peppino al colmo della celia, «... po- teva ben cenare a casa sua!»; e alla con- dizione che il Bertani firmi un’obbligazio- ne scritta nella quale si impegni «a non andare più a sentire mie opere nuove».
E in data 25 maggio 1872 l’ostinato reg- giano rilascia ricevuta dell’incasso di lire 27,80 dichiarando in aggiunta e concam- bio: «Non mi recherò più a sentire opere nuove del Maestro Giuseppe Verdi, a me- no che assuma a mio carico la spesa re- lativa, qualunque possa essere il mio giu- dizio. In fede Bertani Prospero».u v.t.
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IL CLASSICO IN DISCOTECA CON L’ORCHESTRA DI SYDNEY Ashkenazy e le Sinfonie di Prokofiev
più naturale espressività: poi il forte impatto con la “grande for- ma” della «Quinta», letta dai più come canto di liberazione dalle sofferenze della guerra, in realtà cumulo di quel disagio che sareb- be reso sensibile dalla cupezza della «Sesta», messa subito al bando dal Comitato Centrale del partito per la sua appartenenza “alla scuola formalistica e antipo-
ALLO CSAC DOMANI ALLE 17
«L'immagine della città»
con Ugo La Pietra
IIDomani alle 17 si terrà allo no». La comunicazione urbana Csac di Parma la conferenza di rappresenta, già dagli anni Ses-
II Con questo cofanetto della Exton, realizzato nell’autunno del 2009 con l’orchestra di Syd- ney, di cui da quell’anno al 2013 è stato direttore principale,
sivo, quello che ritroviamo ora lungo lo scosceso percorso delle sette Sinfonie, tracciato oltre- modo sibillino in cui si condensa lo stesso destino del composito-
tusiasmo procuratogli dallo stu- dio dell’«Ottava Sonata» si recò a rendere omaggio al defunto e si trovò tutto solo, nell’abitazione deserta, dinanzi alla salma; tutta
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Ashkenazy ha aggiunto nuovo importante contributo alla de- finizione di quel ricco universo che è la vasta opera di Prokofiev, da lui esplorata con esemplare misura lungo l’ampio versante pianistico, con quel passo che ha subito impresso al suo far mu-
re, con l’incredibile stacco tra la giovanile sortita della «Sinfonia Classica» e la pacificata «Setti- ma» che fu presentata al pub- blico di Mosca nell’ottobre del 1952, cinque mesi prima della morte di Prokofiev avvenuta, ul- tima beffa, lo stesso giorno della
la gente era corsa alla Sala delle Colonne dove era esposto il ca- davere di Stalin.
La «Settima» che conclude il travagliato itinerario sinfonico può essere vista come la chiusura di quel cerchio che nato tra il fer- vore avanguardistico della «Clas-
polare”. Fino a che punto la «Set- tima» rappresenti la testimo- nianza ripiegata di un’autocritica lo si può scorgere in quella «coda» del finale che alcuni membri del- l’Unione Compositori chiesero a Prokofiev, dopo la prova generale, per concludere nel segno di un
Ugo La Pietra «L’immagine del- la città».
L’artista, designer, architetto e ricercatore nella grande area dei sistemi di comunicazione parle- rà del suo lavoro a partire dalla serie fotografica omonima, rea- lizzata nel 1977, donata allo Csac
santa, un tema che il relatore ha sviluppato attraverso ricerche sul territorio: «La comunicazio- ne urbana - ha scritto - è ‘il tema’ della nostra società urbanizzata, un tema da sempre ignorato dal- la cultura del progetto e dalle istituzioni». La conferenza si ter-
(FOTO SILVIA LELLI)