Page 148 - marini
P. 148
110 francesco raniolo
abilitanti dello sviluppo) e, quindi, del livello di internazio- nalizzazione e di innovazione della nostra economia (che costituirebbero invece le pratiche virtuose dello sviluppo). Di più, come anticipato, se è vero che la crisi è intensa ovunque e nell’intero Paese, è anche vero che lo è con più intensità nel Meridione. «Dal 2010 il Sud ha risultati significativamente peggiori della media nazionale. Ciò non avveniva da tempo; a fine anni ’90 i dati erano migliori al Sud; nel nuovo secolo, fino alla crisi, si era creata una situazione originale: [...] in termini relativi (Pil pro-capite) l’andamento delle due macro- aree era largamente simile. Non è più così. La seconda fase della grande crisi, quella legata alle dinamiche dell’Europa e dell’euro molto più che all’importazione da oltreoceano della bufera finanziaria, è tutta caratterizzata da un crollo della domanda interna, privata e pubblica. Crollo che, per ragioni di composizione strutturale dell’economia, colpisce di più il Mezzogiorno, meno in grado di sfruttare il ruolo compensativo delle esportazioni [...]» (Viesti, 2014, pp. 12-13).
Se il quadro tracciato a chi legge appare convincente pos- sono essere utili due ulteriori precisazioni a complemento. La dinamica e l’impatto della crisi in Italia mostra con evi- denza palmare che la questione meridionale, in realtà rimossa e derubricata dall’agenda pubblica e decisionale dei governi che si sono susseguiti durante il periodo della Seconda Re- pubblica, è tutt’altro che risolta4. L’analisi comparata tra Paesi o – all’interno del nostro tra regioni – mostra la gravità della situazione sulla base di tre constatazioni (si veda la Fig. 1; per una prima valutazione, Cartocci, 2007):
– l’ampiezza del divario tra regioni forti e regioni deboli in
termini di reddito ma, come vedremo tra poco, non solo, per cui sarebbe opportuno parlare al plurale di “divari” (economici, sociali, civili, istituzionali);
– il peso demografico, cioè la popolazione residente nelle aree economicamente deboli (oltre 20 milioni di persone);
4. Si veda in tal senso il Rapporto della Banca d’Italia, Il Mezzogiorno e la politica economica dell’Italia, del 2010.