Page 146 - marini
P. 146

108 francesco raniolo
solo tra quelli più periferici), è questo il caso dei cosiddetti anelli deboli dell’area Euro prima ricordati. Per altro con una tematizzazione delle cause delle crisi e delle responsabilità nazionali che sovente è sembrata evocare presunte tare del carattere nazionale di questi Paesi (apostrofati da una pubbli- cistica discutibile come i PIIGS dell’Europa). In questo modo la gestione politica della crisi ha attivato una nuova linea di conflitto, prima latente, che corre il rischio di indebolire il cammino dell’unificazione europea. Per non dire che le po- litiche di austerità imposte dagli organi di governo dell’eco- nomia mondiale (come Fondo Monetario, Banca Mondiale, Banca Centrale Europea e la stessa Commissione Europea) hanno avuto una manifesta declinazione ciclica, finendo per aggravare gli effetti locali (nazionali) della crisi.
Se vogliamo andare alla ricerca di metri di paragone, fer- mandoci al XX secolo, non possiamo certo pensare di tro- varli nelle fasi pur negative del ciclo economico che si sono susseguite a partire dagli anni ’80. La crisi attuale ha poco a che vedere con il fisiologico surriscaldamento del ciclo eco- nomico. «Con tutta probabilità, siamo nel momento peggiore dell’intero secondo dopoguerra: quindi degli ultimi settanta anni» (Viesti, 2014, p. 9) e forse anche in una prospettiva ancora più lunga. In effetti, la comparazione più congrua va cercata con la “grande crisi” del ’29, la crisi economica del se- condo dopoguerra e quindi con la stagflazione degli anni ’70. Si tratta tutti di esempi di crisi profonde e intense che hanno inciso notevolmente sulla società e sulla politica. In questo scenario di lungo periodo (quello delle “grandi recessioni” alle quali ascrivere anche quella attuale) il periodo d’oro della new economy, ancora nei primi anni 2000, sembra tramontato forse definitivamente (Spaventa, 2009). Per di più, lo stesso management della crisi si è fatto più complicato e difficile per una serie di scelte che ci vincolano più di quanto non faccia la logica della path dependance. Come ha avuto modo di affermare Gianfranco Viesti (ibid.), «[non solo] sembriamo essere nel pieno di una fase di prolungata e di persistente depressione, [ma nemmeno] appaiono ragionevoli possibilità
































































































   144   145   146   147   148