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Matteo Marini
Col pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà
Qual è la lezione che si può trarre dalle due giornate di stu- dio svoltesi all’Università della Calabria il 18 e 19 ottobre 2016? A me sembra che una risposta sintetica si possa dare ricorrendo alla citazione di Gramsci che dà il titolo a queste note, e che mi è stata inavvertitamente suggerita da Francesco Cappelli, Presidente dell’American Studies Center di Napoli e ideatore delle giornate di studio. A conclusione della prima sessione del convegno, un gruppo di noi si stava scambiando opinioni sull’ottimismo/pessimismo dei relatori che si erano avvicendati sul podio fino a quel momento. Ci chiedevamo se la situazione del Mezzogiorno d’Italia, a seguito delle po- litiche che con nomi diversi sono state sperimentate dal 1950 a oggi, fosse migliorata al punto da non giustificare più il proseguimento di tali politiche (gli ottimisti). O, viceversa, se il persistente divario con il Nord del Paese non ne suggerisse il mantenimento e finanche, secondo alcuni, il loro potenzia- mento (i pessimisti). Francesco Cappelli faceva notare che i relatori sembravano oscillare, per dirla con Gramsci, tra «il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà». E in effetti, se si guarda al Mezzogiorno nel suo insieme, ancora oggi caratterizzato dalla formula dello «sviluppo senza auto- nomia» coniata anni or sono da Carlo Trigilia (1992), si vie- ne certamente colti dal pessimismo: mi riferisco alla tuttora persistente dipendenza del Mezzogiorno dalla spesa pubblica e ai suoi tassi abnormi di inattività e di disoccupazione, spe- cialmente giovanili. Ma se si guarda al cambiamento delle politiche di coesione territoriale che si sono avvicendate nel corso dei decenni, allora l’ottimismo torna a far capolino: la
































































































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