Page 68 - marini
P. 68
30 emanuele felice
che ed economiche di tipo estrattivo (Felice, 2013). Risulta pertanto più corretto parlare di un divario di tipo «socio- istituzionale», fra Nord e Sud.
Prima di chiudere questa sezione, è opportuno rimarcare che anche le differenze sociali – proprio come quelle istitu- zionali – tuttora persistono, fra le due parti della penisola. Nonostante le regioni meridionali siano, in media, significa- tivamente più povere (e pertanto al loro interno dovrebbero essere minori i margini per le distanze fra ceti sociali), anche ai nostri giorni esse mostrano una disuguaglianza maggiore, quale misurata ad esempio dall’indice di Gini, che la gran parte delle regioni centro-settentrionali; dal primo anno per il quale disponiamo di stime affidabili della disuguaglianza economica regionale (1948) in avanti, le cose da questo punto di vista non sono mai cambiate (Amendola, Brandolini e Vec- chi, 2011). Nel capitale umano, benché nel ventesimo secolo un rilevante processo di convergenza abbia avuto luogo in quanto a istruzione formale (alfabetismo, anni di istruzione pro-capite), se guardiamo all’effettivo apprendimento scola- stico – approssimato ad esempio dai risultati dei test Pisa/ Invalsi – possiamo ancora notare un divario netto fra Nord e Sud, in favore del primo (Felice e Vasta, 2015).
4. Conclusioni
Sulla base di una sintesi aggiornata dei divari regionali di reddito nel lungo periodo (dal 1871 al 2011), questo lavoro ridiscute le principali interpretazioni proposte per i diversi percorsi di sviluppo. Sia l’interpretazione geografica, sia quel- la che fa leva sulle differenze nell’etica e nel capitale sociale colgono alcuni punti importanti, o comunque utili, su aspetti specifici dell’evoluzione dei divari regionali in Italia. Non sono tuttavia adeguate a dare conto della dinamica della disu- guaglianza sia nella sua complessità, di lungo periodo, sia con riferimento ai percorsi delle singole regioni. Tale dinamica vede dapprima, dall’Unità alla seconda guerra mondiale, una