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Le condizioni socio-culturali dello sviluppo 59
validi universalmente non implica automaticamente la loro diffusione alla maggioranza della popolazione di un Paese, neanche nei Paesi a più elevato sviluppo industriale. Se così fosse, la fame nel mondo non sarebbe più un problema. Ciò che rende preziosi questi atteggiamenti non è tanto la loro incidenza, quanto la correlazione positiva esistente con il li- vello di sviluppo economico. Essendo delle virtù, esse sono per loro stessa natura faticose da sostenere e dunque rare. La loro produttività, di converso, è elevatissima: si pensi che le stime dei parametri del modello indicano che il passaggio da una posizione resistente a una favorevole a questi atteg- giamenti, che riguardasse soltanto l’1% della popolazione di un Paese, si tradurrebbe in un aumento di PIL pro capite pari proprio all’1%. Considerando quanto siano importanti i punti decimali di PIL, come ci ricorda il dibattito quotidiano tra l’Europa e il governo italiano sui medesimi, si può apprez- zare appieno la rilevanza del rapporto di 1:1 tra cambiamento culturale e aumento di produttività del sistema economico.
Siamo partiti con il voler affrontare un tema complesso, quale quello del cambiamento di mentalità. Il tema è anche delicato, perché la mentalità sociale è ciò che ci guida nelle scelte quotidiane, il nostro pilota automatico. Le abitudini formano la mentalità sociale, e nelle interazioni con gli altri proviamo a prevedere e anticipare il loro comportamento. Molto spesso i comportamenti degli sconosciuti vanno a raf- forzare i nostri pregiudizi negativi. Così non facciamo mai il primo passo in direzione della collaborazione, per timore di non essere ricambiati. Si crea un circolo vizioso che intrap- pola le società nello status quo, e impedisce loro di decollare economicamente.
Tuttavia le scienze sociali dell’ultimo ventennio sono state in grado di trattare un argomento evanescente come la mentalità sociale per isolarne il contributo specifico, da aggiungere al potere esplicativo delle risorse economiche e delle leggi istituzionali. Gli economisti italiani come Guido Tabellini (2010), Luigi Guiso, Paola Sapienza e Luigi Zingales (2006), e Matteo Marini (2004) seguendo i lavori pionieristici