Page 71 - Bollettino I Semestre 2019
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canone  di  prevedibilità  sancito  dalla  Convenzione  EDU),  ma  ritenendo  all’uopo  necessario  il
            ricorso alla Corte costituzionale, la II Sezione penale, con ordinanza n. 49194 del 2017 aveva
            successivamente  dichiarato  non  manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimità

            costituzionale dell'art. 75, comma 2, cit., in relazione agli artt. 25 e 117 della Costituzione ed
            all'art. 7  della  Convenzione  EDU,  come  interpretato  dalla  sentenza  emessa  dalla  Corte  EDU,
            Grande Chambre, nel caso De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017, nella parte in cui la norma
            sanziona  penalmente  la  violazione  degli  obblighi  di  "vivere  onestamente”  e  di  “rispettare  le

            leggi”.

            3.3.  Il giudizio a quo aveva ad oggetto la condotta di un sorvegliato speciale con  obbligo di

            soggiorno che aveva commesso un reato comune (nella specie, una rapina), del quale era stato
            ritenuto responsabile; la stessa  condotta poi  – secondo i giudici di merito  – aveva integrato
            anche la fattispecie del reato previsto dall’art. 75, comma 2, cit., perché il sottoposto alla misura,

            nel  commettere  la  rapina,  aveva  inevitabilmente,  con  la  medesima  condotta,  violato  anche
            l'obbligo di vivere onestamente e di rispettare le leggi, il che integrava il reato di cui all'art. 75,
            comma 2, per il quale era stato irrogato all’imputato un aumento di pena ex art. 81, comma 1,
            c.p.


            La II Sezione, investita della cognizione del ricorso per cassazione contro la predetta sentenza
            di condanna, aveva ritenuto l’inammissibilità del ricorso, rilevando, peraltro, che l'aumento di
            pena  per  il  concorso  formale  dei  due  reati  poteva  risultare  contra  legem  in  ragione  della

            denunciata illegittimità costituzionale dell'art. 75, comma 2; peraltro, la pur condivisa decisione
            delle Sezioni Unite  non costituiva una sopravvenuta abolitio criminis per successione della legge
            nel  tempo,  ma  una  mera  interpretazione  giurisprudenziale  più  favorevole  per  l'imputato

            ricorrente,  non  assimilabile  ad  uno  ius  superveniens,  il  che  impediva  di  tenerne  conto,  in
            considerazione dell’inammissibilità del ricorso; diversamente ove l'art. 75, comma 2, fosse stato
            dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,  si  sarebbe  verificata  una  situazione  assimilabile  alla
            abolitio criminis, rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen.


            La stessa situazione si riproduce in sede di esecuzione della condanna passata in giudicato, in
            quanto  una  decisione  giurisprudenziale  non  può  costituire  presupposto,  in  favore  di  soggetti
            separatamente giudicati, della revoca della sentenza di condanna definitiva, presupponendo l’art.

            673 c.p.p. a tal fine una abrogazione (che competerebbe al Legislatore) oppure una dichiarazione
            d’illegittimità  costituzionale  (che  competerebbe  alla  Corte  costituzionale)  della  norma
            incriminatrice.


            3.3.1. La Corte costituzionale ha accolto questa prospettazione, riconoscendo l’effettiva rilevanza
            della  questione,  condividendo,  in  particolare,  il  rilievo  che  la  abolitio  criminis  -  per  ius
            superveniens  od  a  seguito  di  pronuncia  di  illegittimità  costituzionale  -  è  cosa  diversa  dallo




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