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LA CARRETTA DEI BECCHINI
It dolce ricordo del pranzo reale, e la bella immagine di una
regina che non avevamo visto, ma che doveva essere bellis-
sima, non si cancellarono dalla nostra memoria... e con me, i
sopravvissuti compagni di prigionia, son certo che ricorder-
anno ancora con riconoscenza ed amore.
Restammo accampati a Sofia per qualche settimana. Ci spi-
docchiammo come meglio ci era possibile , curammo le
piaghe che ci mordevano i piedi ed il corpo, avevamo piu'
tempo per riposare e non si lavorava, si dormiva in baracche e
su paglia, non ci nevicava e non ci pioveva addosso. Si poteva
respirare, finche’ Radio Scarpone ci annunzio’: “Domani si
parte, destinazione ignota. No,non a piedi ma in treno. Non
state a pensare alla prima classe con cuccette e lenzuola. Si
viaggia in vagone bestiame. Le bestie non ci saranno, ma ci
saremo noi”. Ed il giorno dopo si parti’, sigillati entro vagoni
bestiame, sessanta ogni vagone.
Nelle pochissime tappe che facemmo ci potemmo rendere
conto che si andava verso la Jugoslavia, diretti al nord. Dopo
diversi giorni fummo scaricati alla stazione di Borac, paese
non distante dal mare Adriatico con alte montagne attorno. Le
truppe tedesche erano impegnate a costruire una galleria, e le
macchine per traforare la montagna erano braccia umane di
prigionieri, morti di fame come noi. E morivano come mo-
sche. Noi dovevamo rimpiazzare i posti vuoti. Cosi' diven-