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Dopo  mezz'ora  di  marcia  arrivammo  ad  un  accampamento
          grande, quasi nuovo. . Baracche ben tenute cucine e servizi in
          ordine,  ospedale  con  sale  operatorie  e  letti.  Ce  ne  ralle-
          grammo,  sperando  nel  meglio.  Trovammo  tanti  e  tanti
          prigionieri  Italiani,  provenienti  dai  diversi  fronti  di  Guerra.
          Diversi  portavano  i  segni  di  ferite  e  mutilazioni,  gli  sfregi
          della fame e delle sofferenze senza nome erano evidenti sulle

          facce di giovani diventati adulti, e di adulti con rughe da vec-
          chi.  Ma  una  cosa  mi  colpi’  maggiormente:      mani  e  piedi
          tagliati. Mi ricordavano i moncherini di coloro che venivano a
          domandare l’elemosina al mio paese. Volli sapere il perche’
          anche per un motivo personale, di famiglia. Ed un giorno fer-
          mai  un bel giovane, un metro ed ottanta, magrissimo, come

          tutti noi, ma lui essendo cosi’ alto, mi pareva piu’ magro an-
          cora.

          “Marinaio Mileti Calogero”.

          “Alpíno della Julia ... N.N ... “.
           “Molto tempo che si trova nel campo?”.

          “ Da circa dodici mesi, e lei marinaio?”;

          “Appena arrivato da Odessa, fatto prigioniero in Grecìa”.

          “Dove ha perso il piede, in battaglia?”.

          “No qui nel campo... lo scorso Dìcembre”.

          “Com’e’ successo?”.
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