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dava anche a noi!
          Ogni mattina diversi camion venivano a prelevare i lavoratori

          esterni e li  portavano nei diversi quartieri della citta’. Sgom-
          brare  strade  seppellite  sotto  le  rovine,  gettare  giu’  muri  ca-
          denti  e perico]osi, pulire mattonì  ed accatastarli  in buon or-
          dine, era il lavoro ordinario. Ed io con Giuseppe fummo ad-
          detti  all'operazione  “recupero  mattoni  e  pietre”.  Si  lavorava
          sotto  la  sorveglianza  di  due  soldati,  e  dovevamo  muoverci,

          particolarmente per non aver le mani ed i piedi gelati. Se le
          guardie  ci  vedevano  fermi,  tremanti,  con  le  dita  in  bocca  o
          sotto le ascelle, correvano e manganellate sulle spalle e sulle
          braccia. Sapevamo il perche’!

          Passo’ il mese di Gennaio, Febbraio e debbo riconoscere che
          la  vitarella,  quella  della  linea  piu’  bassa  della  esistenza
          umana, cominciava a filare. Avevo 22 anni, e mi trovavo tra
          una massa di giovani e quando si cominciava a respirare un

          po’ di aria di vita umana non tanto atroce, rialzavamo le teste,
          e la gioia di vivere si impossessava di tutti. Eravamo giovani,
          con tanti affetti nella vita, con tante speranze per l’avvenire.

          Ai primi di Marzo avemmo una sorpresa. Arrivo’ nel campo,
          niente  di  meno,  il  Generalissimo  Gìuseppe  Stalin.  Non  gli
          sputate in faccia! Allora era un PEZZO GROSSISSIMO, e lo
          e’ restato per anni, tanti, tanti  anni. Troppi! Ci fece un dis-
          corso, in perfetta lingua russa; domando’ a tutti i prigionieri,

          la propria nazionalita’,  e ci disse che avremmo dovuto essere
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