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16  GFDS 42 • Conoscere • di Fulvio Chiappetta MINIDIFFUSORE LS3/5A:
UNA VERA LEGGENDA
Esistono nell’immaginario collettivo degli audiofili alcuni prodotti che godono di una considerazione tutta particolare: alcuni di questi hanno per di più superato la prova del tempo, il quale da vero galan- tuomo ha risparmiato dall’oblio alcune realizzazioni del tutto speciali ed ha giustamente bollato quali meteore altre che, dopo un primo exploit, hanno più o meno meritato il disinteresse del mercato. Tra i prodotti che hanno superato a pieni voti tutti i test a cui, nel corso degli anni, sono stati sotto- posti, un posto di assoluta preminenza spetta ai diffusori oggetto di questo speciale.
Èassai poco probabile, per non dire impossi- bile, che un audiofilo degno di tale appella- tivo non conosca il minidiffusore LS3/5A: è questo l’ovvio motivo per il quale sal- tiamo a piè pari la presentazione del prodotto ed entriamo imme- diatamente nel vivo dell’argo- mento, illustrando la storia del progetto prima e le sue peculia- rità di utilizzo poi.
LS3/5A:
UNA STORIA AFFASCINANTE
Il diffusore LS3/5A è stato ini- zialmente concepito per colmare un’esigenza molto sentita dalla BBC: per equipaggiare gli studi mobili della nota emittente ingle- se, tipicamente quelli allocati nei furgoni all’uopo attrezzati, occorreva infatti, un compatto monitor che, grazie alla sua sostanziale correttezza timbrica, potesse consentire ai tecnici di effettuare tanto il critico bilan- ciamento tonale, quanto l’otti- male posizionamento dei micro- foni preposti alla presa del suono delle trasmissioni televisive. Ovviamente, a causa delle dimensioni forzatamente mini- mali di questo diffusore sarebbe stata accettata, quale limite ine- vitabile, la rinuncia ad una gamma bassa profonda ed anche, seppure solo parzialmente, ad
una dinamica particolarmente spinta, purché tanto la timbrica, quanto la scena risultassero asso- lutamente irreprensibili: tali riproduttori erano chiamati infat- ti a sostituire vantaggiosamente le cuffie che, se da un lato si rive- lano impareggiabili in termini di attendibilità sonica, dall’altra mostrano insormontabili limiti in termini di credibile ricostruzione dell’immagine.
Ultimo, ma di certo non meno importante capitolato di proget- to, vi era quello della totale costanza delle prestazioni soni- che tra un esemplare ed un altro, stante non solo la destinazione d’uso del dispositivo, altamente professionale, quanto anche l’e- sigenza di considerare come una coppia perfettamente appaiata con tolleranze minimali pure quella costituita da due diffusori scelti a caso, contraddistinti anche da numeri di matricola molto differenti (e pertanto rea- lizzati in epoche assai diverse). Nessun sistema di altoparlanti già presente in commercio forni- va una risposta piena e convin- cente alle esigenze su indicate, tant’è che i responsabili dell’e- mittente si videro costretti a commissionare al proprio centro studi, con sede a Kingswood Warren, un prodotto ad hoc: ecco che nacque così la piccola e magica LS3/5. Sì, LS3/5 e non LS3/5A, che vide la luce in un
secondo momento, come vedre- mo a breve.
Spieghiamo innanzi tutto il nome che appare giustamente singola- re; tutte le attrezzature della BBC erano contraddistinte da una sigla che ne identificava la destinazione d’uso: “CT” per gli armadi, “FL” per i filtri, “LS” (appunto) per gli altoparlanti.
Il successivo numero rappresen- tava invece la collocazione: “5”, ad esempio, indicava l’impiego negli studi fissi di trasmissione, mentre il “3” in quelli mobili. Il numero dopo la barra, nel nostro caso il “5” era il numero che individuava lo specifico model- lo: la LS3/5 evidentemente era destinata a sostituire i diffusori che l’avevano preceduta, in spe- cial modo la LS3/1 di impiego all’epoca molto diffuso.
Il responsabile del progetto, Maurice Whatton, un ingegnere nella testa e nel cuore, affrontò con estremo rigore, in qualità di capo del centro studi, l’impegno che l’azienda gli aveva affidato, coerente alle sue radicate con- vinzioni, simili a quelle di Peter Walker (l’uomo Quad, per inten- derci), secondo il quale “tutto ciò che si può sentire, si può indub- biamente misurare”.
Whatton, così come ha poi riferi- to il figlio, era un tecnico puro, poco o per nulla appassionato di musica, ascoltatore distratto che non frequentava i concerti di





















































































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