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12 GFDS 42 • Conoscere • di Andio Morotti
I DIFFUSORI LS3/5A: I MITICI
Generalmente cerco di tenere fuori dal mio vocabolario la parola “mitico”, sia perché oggi se ne fa un uso eccessivo e quindi sempre meno significante, sia perché ha un contenuto emo- zionale che spesso prevale su quello connotativo. Insomma, è un aggettivo che dice tanto e nulla nello stesso tempo. Questa volta, tuttavia, ho deciso di usarlo, rifacendomi alla sua ori- ginaria etimologia. “Mythos” in greco è il racconto e mitici sono i soggetti attorno ai quali nascono racconti e leggende, insomma, uomini, cose ed eventi la cui esistenza vale la pena di essere raccontata e il ricordo tramandato.
Certamente gli LS3/5a sono stati – e per molti aspetti continuano ad esse- re – un mito dell’al- ta fedeltà, e non solo di quella degli anni ’70 e ’80.
E questo sia per la particolarità della loro nascita, sia per la pecu- liarità della loro filosofia proget- tuale, sia per la loro longevità, sia, soprattutto per la qualità della loro resa sonica. Erano, infatti, dei minidiffusori di costo contenuto che, però, finirono per essere con- siderati da molti audiofili degli esponenti dell’hi-end di alto livel- lo. Furono i primi minidiffusori a dare un senso non di ripiego all’e- sistenza di casse acustiche di pic- colissime dimensioni. Accanto ad entusiastici estimatori ebbero – come tutte le cose di questo mondo – anche i loro convinti detrattori, che fondamentalmente li accusavano di non avere bassi e talvolta di rimpicciolire la dimen- sione degli strumenti. Come osservazione poteva forse avere il suo fondamento, ma come accusa era, a mio parere, profondamente ingiusta. Date le loro dimensioni, infatti, la risposta in frequenza non poteva udibilmente scendere, per le stesse leggi della fisica, molto al di sotto dei 70 Hz. Proprio le dimensioni procuraro- no a questi minidiffusori lo scher- zoso nomignolo di “scatole da scarpe”, che passò anche a tutte le
minicasse di cui essi furono, per molti aspetti, il prototipo. Ad affibbiarglielo furono, natural- mente, gli estimatori di un’hi-fi caratterizzata da un suono solido, ben esteso anche sulle ottave infe- riori, e da una dinamica spettaco- lare. In seguito il nomignolo fu usato, stavolta in senso affettuoso, anche da alcuni degli aficionados dei minidiffusori: “Senti come suonano bene le mie scatole da scarpe!”. Insomma, le LS3/5a potevano essere amate oppure odiate, ma venne un momento in cui non poterono più essere igno- rate: avevano fatto scuola e aperto la strada a nuovi criteri per giudi- care il suono degli impianti hi-fi. Negli anni ’70 anch’io ero schie- rato a favore dei grossi diffusori, che, se non altro, mi emozionava- no coi loro bassi e la loro macro- dinamica. D’altra parte era questo il gusto allora diffuso tra la mag- gioranza degli audiofili: non era forse vero che gli stessi studi di registrazione si servivano di gros- si monitor? Un giorno, però, nel 1973, la BBC decise di progettare dei minimonitor da utilizzare, in particolare, sui furgoni usati per le registrazioni esterne: a parte l’in- gombro, voleva anche evitare che l’esuberanza della gamma bassa e l’eccessiva direttività di quella alta creassero ostacoli ai fonici, che dovevano essere sempre in grado di valutare accuratamente la timbrica degli strumenti. E fu così
che nacquero, da esigenze profes- sionali, le LS3/5a. In un cabinet semplicissimo e robusto di 18,5 x 30 x 16 cm fu montato, in sospen- sione pneumatica, un piccolo woofer in bextrene di 11 cm di diametro, il Kef 110, e un tweeter Kef T27 a cupola di 19 mm. Anche il cross-over era fornito dalla Kef. L’incrocio, con una pendenza di taglio piuttosto eleva- ta, era centrato sui 3500 Hz. L’impedenza era inusitatamente alta: 15 Ohm, che furono ridotti a 11 nel 1988. L’efficienza era inve- ce piuttosto bassa: 81 dB. Nel complesso, comunque, le LS3/5a costituivano un carico piuttosto facile per qualunque amplificatore e in particolare per i valvolari. I due altoparlanti e il cross-over erano fissati al pannello anteriore, in modo da facilitare l’ispezione interna senza dover smontare tutto il cabinet. I driver erano accurata- mente selezionati e accoppiati in modo che un diffusore suonasse esattamente come l’altro. La cupola del tweeter era contornata da un riquadro di feltro, che aveva lo scopo di minimizzare le diffra-