Page 9 - Tina Sgrò - Noto - 2021
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Qualcosa pure di Boecklin, se è vero che la sua pittura, per dirla con Marisa Volpi, è sempre più avulsa da contesti noti e tanto più emozionante quando la composizione rivela il rapporto incalzante tra immaginazione e stesura: un’improvvisazione resa possibile da un artigianato sapientissimo di ogni tecnica, più che da una mente attenta all’esercizio compositivo. E tuttavia capace pure d’esso, ma secondo declinazione originale, o per meglio dire innovativa, che fa di un interno un microcosmo dove reale e surreale, il tempo perduto e ritrovato di proustiana memoria e quello circolare di einsteineiano cònio convivono urtandosi, maledicendosi, amandosi furiosamente.
La memoria e il sogno, il freddo registro d’ogni cosa che ne scandisce un inventario cartesiano e l’animazione emozionale, turbata e sentimentale, d’ogni spazio che all’improvviso pare prendere fiato, sembra sospirare confessando ardori e sogni indicibili che si celano come tignole entro le poltrone, che si nascondono come tarme nelle tende, che fluttuano nell’aria assieme a sbuffi di polvere e il fantasma incorporeo del desiderio, facendo sorridere l’austero dottor Sigmund Freud dal quadretto ch’è là, sul tavolo da bridge, ignaro della paralizzante sonnolenza che ha stregato la grande fotografia di Tolstoj, piazzata sopra il vecchio centrino di zia Virginia (Wolf, naturalmente). Il brusio di queste e di altre presenze pur invisibili riempie gli interni alitanti, animosi e sentimentali di Tina Sgrò, dando vita alla sua pittura lucente e umbratile, perlacea, grigia e nera (perché nasconderlo?
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