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“Ma chiusi qui dentro, come possiamo sapere la direzione che
il treno ha preso? Ma noi da “vecchi scarponi” non disperi-
amo mai….”torneremo in Italia!”
“In Italia….si in Italia… viva l’Italia”, gridammo tutti a
squarciagola. Almeno chiusi in quelle gabbiacce di ferro,
eravamo liberi di gridare, di prenderci a pugni, ed anche di
morire di disperazione, senza essere controllati dai nostri
aguzzini.
Dopo tre giorni e tre notti di tram... tram... lento, esasperante
ed assassino per i piu’ scarnificatì tra di noi, una mattina la
tradotta fece una fermata fuori tempo e fuori posto. Ordinaria-
mente ci fermavamo alle stesse ore su binari morti. Le nostre
spíe, montate sulle spalle di qualcheduno scrutavano l’oriz-
zonte dai finestrini, gridarono: ROSTOV... ROSTOV.
“Siamo in Ucraina, verso il Mar Nero. Rostov e” un grande
centro industriale della Russia”.
“Signor Ufficiale, questo ROSTO e' al Nord o al Sud?”. “Fa
piu' caldo o fa piu' freddo?”.
“Quanto siamo distanti dall'Italia?”.
Le portacce cigolarono sulle rotaie arrugginite, ed una ventata
di freddo glaciale ci levo’ il respiro.
“Altro che Rosto... o lesso... siamo in Síberia!”.
Ci coprimmo la faccia con i baveri dei cappotti e le alette dei
cappelli,,e cio’ nonostante il vento ci mordeva la faccia.