Page 223 - I Segreti del digiuno al Futuhat FINAL
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222 al-Futūḥāt al-makkiyya
pende dal sopravvento (tu ū) del dubbio su di esso nella speculazione
razionale, e non c’è dubbio più grande dell’attribuzione del digiuno ad
Allah ad esclusione delle altre opere, mentre il servitore è caratterizzato
da esso [digiuno]. Quando avviene la presentazione (ʿa ), cioè la teofa-
nia e lo svelamento, del fatto che a colui che digiuna appartiene ciò che
è di Allah in esso e ciò che è del servitore, cessa per lo svelamento divino
il dubbio che la ragione ha accettato: questo è il signif cato di “Colui che
aggiusta il segno di riconoscimento”.
Se invece trasponi [l’espressione “il Signore dei Mondi”] come “Colui
che fa crescere i Mondi (mu a l- ālam )”, cioè Colui che li nutre, il
nutrimento di chi digiuna, in questa presentazione, è ciò che il Vero gli
elargisce, in questo digiuno, delle scienze proprie di questi due giorni,
cioè la scienza dei Nomi e la scienza delle dodici sorgenti, di cui fa parte
la scienza di ogni cosa diversa da Allah. Essa è la scienza della Vita da
cui è vivif cata ogni cosa ed è la scienza che si genera tra i regni vegetale
e minerale dall’attributo della “Forza che costringe ( a )”. Le dodici
sorgenti infatti apparvero per il colpo del bastone [di Mosè] sulla pietra
“e sgorgarono da essa” (Cor. II-60), per quel colpo, “dodici sorgenti”,
cioè le scienze della contemplazione, da uno sforzo interiore per mezzo
del colpo, e le scienze di gusto spirituale, in quanto l’acqua è tra le cose
sussiste, anche se ben pochi arabi oggi ne sono consapevoli. Il termine arabo che noi
traduciamo come “Mondi”, è il plurale sano di ʿālam, che deriva dalla stessa radice
di ʿalāma, radice che dà luogo a due forme verbali, ʿalama, che signif ca “essere segno
di”, e ʿalima, che signif ca “sapere”. Per Ibn ʿArabī derivano da ʿalāma e quindi dal
sostantivo che signif ca “segno” e non solo dalla sua radice, sia la scienza (ʿilm) [Cap.
199 (II 479.3) e Cap. 324 (III 91.19)] sia il Mondo [Cap. 341 (III 160.33) e Cap. 371 (III
443.8)], che è l’insieme dei “segni” che ci fanno conoscere il suo Creatore. Quanto al
termine arabo che traduciamo come Signore, Ibn ʿArabī riconosce ad esso ben cinque
signif cati (aḥkām) diversi [Cap. 558 (IV 198.9)], uno dei quali è appunto quello di “colui
che aggiusta, sistema, ripristina (al-mu liḥ)”. Dunque l’espressione che per noi è solo
“il Signore dei Mondi”, per un arabo che conosca bene la sua lingua signif ca anche
“Colui che aggiusta i segni”, e ciò spiega la connessione con la corruzione o con il
segno “guasto”. Resta da stabilire a quale “segno” egli volesse riferirsi. Tra i punti
delle Futūḥāt in cui più spesso ricorre questo termine vi sono quelli in cui Ibn ʿArabī
commenta uno ḥa riportato da Muslim (I-302), secondo il quale, nel Giorno della
Resurrezione, il Vero Si manifesterà alla comunità dei credenti in una forma diversa da
quella del loro credo ed essi non Lo riconosceranno f nché Egli non assumerà la forma
specif ca del loro credo ed allora ciascuna di loro Lo riconoscerà. Ibn ʿArabī identif ca
questa forma ( ū a del Vero creata nelle credenze (al-ḥa al-ma lū l-i ti ā āt) con il
“segno (di riconoscimento)” [Cap. 48 (I 266.18), Cap. 344 (III 178.25)].