Page 7 - Giornalino Eureka #2
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punto che iniziò lo sbaglio più grande che Orenthal potesse mai fare: incominciò l’inseguimento
          più seguito nella storia dei media. Shapiro e Kardashian tennero una conferenza stampa e
          annunciarono la fuga ipotizzando che O.J, affetto da depressione inerente a caso, potesse
          addirittura tentare il suicidio.



          Intorno alle ore 14 dello stesso giorno il comandante della polizia annunciò pubblicamente che
          Orenthal James Simpson era ricercato per duplice omicidio. Nel frattempo decine di pattuglie si
          misero sulle tracce del fuggitivo, dando inizio ad un vero e proprio inseguimento che venne
          visto da 75 milioni di telespettatori e che sarà ricordato nella storia com “The Bronco chase”
          poiché O.J e colui che lo accompagnava erano fuggiti a bordo di una Bronco. Dopo circa 50
          minuti di inseguimento Simpson stesso decise di tornare a casa, ma arrivato sul vialetto rimase
          un’altra ora dentro la macchina, impugnando una pistola e minacciando varie volte di uccidersi
          fino a quando non si arrese e fu arrestato ufficialmente.


          Il processo cominciò con la prima udienza il 25 gennaio 1995. La giuria era composta da 12
          persone; sette afroamericani, quattro bianchi e un ispanico.


          L’accusa fu presentata da Marcia Clark e Christopher Darden; Simpson, invece, affidò la sua
          difesa ad un gruppo di avvocati di altissimo prestigio, tra i quali spiccano Johnnie Cochran,
          Robert Shapiro, Robert Kardashian (che, ricordiamo, era il migliore amico di O.J) e Alan
          Dershowitz che verranno successivamente battezzati “dream team”. Il giudice era invece Lance
          A. Ito.


          L’accusa utilizzò come strategia il carattere violento di Simpson, facendo notare le varie
          denunce da parte di Nicole per maltrattamenti e data anche la sua non rassegnazione alla
          separazione. Il movente, secondo l’accusa, era quindi la gelosia.


          La difesa puntò invece su un elemento che via via sarebbe diventato il filo conduttore di tutto il
          processo: la discriminazione razziale. O.J Simpson era ricco e famoso, ma era nero, mentre
          tutti i poliziotti coinvolti nel caso erano bianchi e, secondo la difesa, avrebbero voluto
          incastrarlo. Tra loro spicca soprattutto il nome di Mark Fuhrman, l’investigatore che trovò i
          guanti insanguinati e che precedentemente si era reso colpevole di discriminazioni razziali. La
          difesa riuscì addirittura a trovare dei nastri in cui Fuhrman insultava pesantemente i neri. Dopo
          la diffusione dei nastri, il detective fu chiamato al banco dei testimoni della difesa, ma si avvalse
          del diritto di rimanere in silenzio anche quando Cochran gli chiese se aveva compromesso le
          prove sulla scena del delitto. A questo punto, i guanti, che erano una delle prove più importanti
          dell’accusa, persero tutta la loro credibilità. Un altro punto a sfavore della tesi dell’accusa arrivò
          quando il procuratore Darden decise di far provare a Simpson i guanti, contro il volere dei suoi
          superiori che ritenevano che si potessero essere ristretti. E infatti si rivelarono troppo piccoli per
          le mani di Simpson. A questo riguardo divenne celebre la frase che Cochran cantilenò nel
          notare che i guanti non entrarono, ovvero “ if it doesn’t fit, you must acquit” (se non calzano,
          dovete assolverlo). Quanto alle tracce di sangue trovate sulla scena del crimine, la difesa riuscì
          a dimostrare che il test del dna poteva essere stato manipolato.
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