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Salvatore Naitza analizza



                                        la pittura e l’arte



                                         di Nino Prestia















                      osa significa per un artista guardare, fissare, un foglio privo di segni apparenti o, meglio, un foglio
                      bianco dotato di un’apparente continuità materica e cromatica? Non per tutti è la stessa cosa natural-
                      mente. Per alcuni la pagina significa schermo vergine e omogenee sul quale proiettare un mondo di
                      immagini precostituite, non importa come. Per altri è un luogo di esperienze: talvolta casuali, altre
          Cvolte regolate. Per altri il campo visibile non è invece un suppòrto inerte, ma un territorio da scoprire
           nei suoi caratteri materiali e nelle variabili indefinite, non percepibili di acchito, della superficie. In questo caso, si
           tratta principalmente di rintracciare, oltre alle apparenze i segnali grafo-pittorici della omogeneità di un campo. Un
           assunto, questo, congeniale al chimico, al fisico, al matematico, al semiologo a quel particolare intellettuale, insom-
           ma, individuato dal senso comune come uomo si scienza. Ma, se questo tipo si interesse, definibile in prima istanza
           a favore della quantità, si intreccia con una forte spinta fantastica capace di interpretare i segnali grezzi come ele-
           menti esteticamente rilevanti, allora l’indagine si trasforma a sua volta in un’avventura nel microcosmo e i risultati
           si propongono alla fine come selettivamente arbitrari: rispondenti, cioè, fondamentaPmente a propri Criteri di orga-
           nizzazione, portatori di una propria semantica. Così mi sono apparsi i tracciati molecolari di Nino Prestia, artista e,
           per professione, “uomo di scienza”, quell’infinità di annodamenti nervosi, elettrici, ricostruiti su e giù per le asperità
           di carte raffinate da disegno con pennellini giapponesi e con pazienza fiamminga. Ne deriva la mappa sentimentale
           di una esplorazione lenta e assaporata, una topografia dei luoghi fantastici scoperte preferiti. Ma affiorano anche,
           qua e là, le orme disperse del gesto errante della mano, la spia delle incertezze di orientamento dell’occhio dentro il
           microcosmo e l’immancabile senso della scommessa. Sono certamente questi aspetti di “vagabondaggio” all’interno
           di una struttura di immagini, nel suo insieme equilibrata e distribuita armoniosamente, che tradiscono, assieme alla
           veste rigorosa del ricercatore, un bisogno profondo di “immaginario”, come approdo al di là di quanto, è noto o
           prevedibile; una marcia perciò dall’entropia all’ordine della qualità. In fondo dunque l’attraversamento del campo
           artistico esige il suo pedaggio da chiunque anche da chi vi transita con intenzioni e corredo scientifici; un pedaggio
           che si paga alla specificità della conoscenza artistica appunto. Come ogni operazione artistica compiuta con estrema
           convinzione si tratta dunque di un’affermazione di autenticità di ricerca ed espressione di sé attraverso l’esperienza
           di valori generali. E’ in questo segnale personale, autenticamente artistico, che va cercato il filo rosso del messaggio
           formale e umano di Nino Prestia.




















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