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all’ingresso. La prima cosa che si nota è lo della diga: 1878. Ciò fa di questa diga la più antica
stile Liberty delle costruzioni. La seconda è della Sardegna. L’impianto, costruito tra il 1874 e il
il fatto che, a parte i normali segni dello 1879 e collaudato nel 1880, raccoglieva le acque del
scorrere del tempo, non presentano rio “Bunnari”, che scorre ancora oggi nella valle.
danneggiamenti dovuti ad atti vandalici: non Venne costruito persino un tunnel, di cinque chilometri
ci sono immondizie e le pareti, per quanto circa, che collega la diga del 1878 alla palazzina
scrostate e scolorite, sono pulite, senza Liberty dell’Acquedotto di Sassari in viale Adua.
scritte o graffiti. Nell’edificio più grande si L’ingresso nella valle di Bunnari è difficilmente
scorge, seppure sbiadita, la scritta “Filtro”, individuabile a causa della vegetazione e, secondo
incisa sulla lastra di marmo posta sopra alcuni rilievi, è possibile che il tunnel sia parzialmente
l’ingresso. All’interno una serie di grandi ostruito da alcuni crolli. I dati tecnici descrivono la
archi delimitano profonde cisterne interrate. struttura come una “diga a gravità ordinaria” - ossia
Continuando poi lungo il sentiero emerge, che si oppone alla pressione dell’acqua col proprio
un po’ alla volta, la struttura più imponente e peso e grazie all’attrito con la roccia di fondazione -
meglio conservata di tutte. L’impressionante
mole della diga si mostra inizialmente con
discrezione, per rivelarsi in tutta la sua
maestosità una volta giunti alla base dello
sbarramento. Sulla sommità, in grandi
caratteri metallici ossidati e corrosi dal
tempo ma ancora perfettamente leggibili
anche da lontano, è incisa la data che ha
visto l’ultimarsi dei lavori di costruzione
“L’impianto costruito
tra 1874 e il 1879”
interamente costruita in muratura di pietrame.
Con trentadue metri di altezza, garantisce un
invaso di 457.000 metri cubi d’acqua, che
furono abbastanza per soddisfare la sete dei
sassaresi per lungo tempo. Giunti alla base
della diga, non senza una certa difficoltà a causa
delle erbacce e soprattutto dei rovi che rendono
l’avanzamento abbastanza problematico, ci si
sente quasi sopraffatti dall’incombenza della
struttura. Si notano, parzialmente soffocate
dalla vegetazione, due centraline di controllo
del flusso, all’interno delle quali sono ancora
visibili le tubature e i meccanismi idraulici, per
quanto arrugginiti. Il silenzio è totale, interrotto
solo dal verso sporadico di qualche animale e
dal leggero fruscìo del fiume, che ora scorre
libero, senza impedimenti. Questo, unito alla
totale assenza di campo che zittisce anche il
telefonino, dà l’idea di trovarsi sperduti in
qualche remoto angolo di mondo anziché a
dieci minuti dalla città. Da quel che ci dice
Enrico Costa in “Sassari” (parte VI cap. 5) la
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