Page 15 - Феличе Трояни "Хвост Миноса"
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membri dell’equipaggio, quindi, si impegnarono per iscritto (su ordine di Nobile) a non
rilasciare interviste, scrivere libri ed altro, se non per tramite della stessa RSGI.
E proprio da un problema con gli sponsor nasce La Coda di Minosse : al ritorno in
Italia dei naufragi della Tenda Rossa, tutti gli italiani, da Nobile a Biagi, rilasciarono
interviste, annunciarono libri, tennero conferenze; tutti, meno Felice Trojani, in rispetto al
contratto con la RSGI.
Felice Trojani si limitò ai racconti a parenti e amici e a qualche risposta alle domande
dei giornalisti. Questo, fino al 28 Dicembre del 1928, quando su insistenza del fratello,
l’avvocato Umberto Trojani, legale della Montecatini, accettò di tenere una conferenza a
porte chiuse al Dopolavoro della società a Milano. Felice Trojani raccontò la sua storia,
davanti agli invitati, ma il giorno dopo venne pubblicato sul Corriere della Sera, in una
delle pagine interne, un breve resoconto, non firmato e non autorizzato, di quanto detto.
Pochi giorni dopo, a Felice Trojani arrivò una lettera del podestà di Milano, De
Capitani, che lamentava il fatto che lui avesse tenuto una conferenza senza
autorizzazione, nonostante il contratto con la RSGI; Trojani rispose a tono, ricordando i
titoli dei libri annunciati dagli altri superstiti, delle tantissime interviste da questi rilasciate
e ricordando che la sua non era affatto una conferenza, ma un incontro a porte chiuse, e di
non aver ricevuto alcun compenso. L’affronto era stato però troppo grave, e alla fine Felice
Trojani non dirà più nulla della spedizione per trent’anni: non una parola, una riga, non
un commento.
Dopo il Polo vennero l’edilizia a Roma e in Vaticano, la Russia, la Macchi,
l’Aeronautica Umbra, la guerra, il Brasile. Trent’anni, passeranno.
E proprio in Brasile, nel 1956, Felice Trojani, leggendo le riviste italiane, trova una
serie di articoli per il trentesimo anniversario della spedizione dell’Italia, e in uno di questi,
scopre di … non essere più vivo. Altri quotidiani, solitamente noti per l’accuratezza delle
notizie, ripetono che Trojani è morto.
“Ben ti sta !” si dice, ridendo “così impari a stare zitto!”. E ritorna, prepotente, l’idea
di raccontare, finalmente, la propria versione dei fatti, trent’anni dopo.
Sempre in Brasile, intorno al 1960, Felice Trojani viene rintracciato (chi ha vissuto in
quel periodo sa quanto fosse difficile trovare qualcuno dall’altra parte del mondo, internet
era ben al di là da venire) da uno psichiatra statunitense, George Simmons, che stava
scrivendo un libro sulla psicologia della corsa al Polo Nord, e stava girando il mondo,
intervistandone i protagonisti.
Simmons verrà in Brasile, a São Paulo, e parlerà a lungo con Felice Trojani: alla fine
lo convincerà a scrivere la propria versione della spedizione dell’Italia - ma non solo,
intuendo che quanto avvenne nel 1928 ha le sue radici negli avvenimenti di venti anni
prima e che le conseguenze si vedranno per altri vent’anni, convince Trojani a raccontare
tutta la sua storia, dalla passione per l’aviazione che lo prende da ragazzo nel 1908,
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