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Comunque, una simile repressione non fa altro che incrementare il desiderio e
               l’impegno di quanti si adoperano per risolvere il puzzle.
                Uno  dei  primi esempi della  prova  dell’esistenza dell’etere proviene dal  dott. Hal
               Puthoff,  un  rispettabile scienziato  della  Cambridge University.  Puthoff  menziona di
               frequente gli esperimenti compiuti all’inizio del XX secolo, prima dell’avvento della
               teoria meccanica dei quanti, che cercavano di  definire se ci fosse una  forma di
               energia  nello  spazio  vuoto.  Per  verificare quest’idea  in  laboratorio, era  necessario
               creare uno spazio completamente privo di aria (il vacuum), schermato e protetto da
               tutti i tipi di radiazione elettromagnetica, usando ciò che è noto con il nome di gabbia
               di Faraday. Questo vacuum veniva portato alla temperatura di meno 273 gradi (lo
               zero assoluto), alla quale tutta la materia dovrebbe smettere di vibrare e di produrre
               calore.
                Questi esperimenti provarono che, anziché assenza di energia nel vacuum, si
               verificava un tremendo  aumento  di essa, per giunta  da una fonte non-
               elettromagnetica! Il dott. Puthoff ha spesso definito  questo processo  come “un
               calderone in ebollizione” di energia alla più elevata magnitudine. Dato che questa
               energia  potrebbe essere trovata allo zero assoluto, tale forza è stata chiamata
               “energia del punto zero” o  ZPE (zero point energy),  mentre gli scienziati russi di
               solito la definiscono “il vacuum fisico”, o PV (phisical vacuum). Recentemente, gli
               affermati fisici John Wheeler e Richard Feynman hanno calcolato che la quantità di
               zero point energy nel volume spaziale di un singolo bulbo  luminoso  è potente
               abbastanza da portare tutti gli oceani del mondo al punto di ebollizione!
                Chiaramente, non abbiamo a che fare con una forza tenue e invisibile, ma con una
               fonte di potenza incredibilmente elevata, che potrebbe avere capacità necessaria per
               sostenere l’esistenza  di tutta la materia fisica. Nella nuova visuale scientifica che
               emerge dalla teoria dell’etere, tutti e quattro i campi di forza, il campo gravitazionale,
               il nucleare forte e quello debole, il campo elettromagnetico, sono in sostanza differenti
               manifestazioni dell’etere/ZPE.  Per avere un’idea  di  quanta energia “libera” esista
               intorno a noi, il prof. M.T. Daniels calcola che la densità di energia gravitazionale
               vicino la superficie della terra corrisponde a 5,74 x 10^10 (t/m^3).  [Non bisogna
               dimenticare che la gravità potrebbe essere semplicemente un’altra forma di etere
               secondo  questo  nuovo modello]. I calcoli del  prof. Daniels rivelano che il
               prelevamento di 100 kilowatt di questa  potenza di “energia libera” dal campo
               gravitazionale intacca un estremamente piccolo 0,001% dell’energia naturale che è
               stata prodotta in quell’area.
                ANALOGIE PER COMPRENDERE LE SCOPERTE DI KOZYREV
                Analizzando i  miti della fisica quantica appare evidente, che il consueto  modello
               dell’atomo a  “particella” è seriamente errato. Tutta la materia fisica, in  ultima
               analisi, è composta da pura energia in frequenze risonanti, e non vi sono “particelle
               pesanti” da rinvenire nel regno quantico. Sempre più spesso la comunità scientifica
               viene forzata ad accettare il fatto che gli atomi e le molecole siano come la fiamma di
               una candela, in cui l’energia che essa rilascia (come il calore e la luce della fiamma)
               deve essere bilanciata dall’energia che  assorbe (come la cera della candela e
               l’ossigeno dell’aria).  Quest’”analogia  della candela”   è un tratto distintivo del
               modello  del dott. Hal Puthoff,  con cui egli cerca di spiegare  per quale  motivo
               l’elettrone ipotetico non irradia intorno tutta la sua  energia e precipita dentro il



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