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Verso  mezzogiorno  arrivo’  l’ordine  di  partenza.  Divisi  in
          gruppi passati in rivista, controllati i miseri fagotti ed anche le
          nostre tasche, affiancati da numerosi aguzzini con il mitra spi-
          anato,  uscimmo  dal  campo,  sfilammo  per  la  periferia  di
          Atene, e prendemmo la  strada per l’aperta  campagna. C’era
          un sole compassionevole nel cielo serenissimo e ci riscaldo’ il
          sangue. Ci ridiede un po’ di vita. Come e’ facile accontentare

          chi soffre. Ci sentivamo quasi liberi, ed una voce, una bella
          voce di alpino comincio’ a cantare:

          “Vecchio scarpone quanto tempo e’ passato,

           quanti ricordi mi fai vivere tu…”

          Mi ricordai che anche io avevo una bella voce e mi unii:
          “quante canzoni sul tuo passo ho cantato

          che non ricordo piu’”.

          Ma si era affamati ed il coro si spense subito.

          Il  primo  giorno  si  ando’  abbastanza  bene,  bastava  non
          guardare e non pensare agli aguzzini che ci scortavano con il
          mitra  spianato  per  illuderci  che  si  stava  facendo  una  delle

          tante marce a cui il soldato e’ abituato. Ma dopo il secondo, il
          terzo,  il  quarto,  il  quinto,  il  decimo  giorno,  quel  cammina,
          cammina, cammina, sotto la bocca dei mitra, con una sosta,
          una sola verso il mezzogiorno e poche ore di sonno per notte,
          con  la  razione  di  un  pezzo  di  pane  o  una  galletta,  qualche
          patata o rapa cruda carpite nei campi lungo la sponda delle
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