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“Pace all’anima sua” mormoro’ uno di noi.
“Pace” rispondemmo tutti.
Coninuammo a barcollare con gli occhi chiusi.
Il secondo, non lo potro’ mai dimenticare. Uno studentino di
universita’, un bel giovine della mia eta’. Lui ce la poteva fare
ma, come mi aveva detto, sulle montagne greche aveva dor-
mito sotto la neve diverse volte. Aveva un respiro pesante, il
fiato gli mancava, spesso sputava sangue e tossiva, tossiva
fino a spezzarsi il petto. Un giorno mi disse: “Sai Calogero
oggi sto meglio. Questa notte ho sognato mamma e mi ha
detto che oggi sarei partito. Credi tu che mi libereranno
perche’ io sto tanto male? Tu lo sai, ma loro non ci credono,
non ci vogliono credere. Ma forse oggi se ne accorgeranno e
mi lasceranno andare. Mamma mi aspetta a casa e mi fara’
guarire! Forse penso’ di aver detto una fesseria e per farsi per-
donare scoppio’ a ridere. Il riso si tramuto’ in tosse violenta,
senza posa, e un fiotto di sangue gli sgorgo’ dalla bocca e
casco’ per terra. Ci fermammo e cercammo di dargli aiuto.
Ma cosa potevamo fare? Una pozzanghera di sangue ci fece
capire che dentro ce ne restava poco. Faccia come la cera, si
contorceva nello spasimo. Vennero gli aguzzini, questa volta
in tre, lo presero per le braccia e i piedi, lo portarono al mar-
gine, noi cercavamo di non guardare. Dopo alcuni secondi il
colpo di mitra. Uno solo!
“Pace all’anima sua…”