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con qualcuno e diedi una gomitata al napoletano che mi rus-
          sava vicino.

          “Calo', che ti piglia? Fammi dormi”: stavo sognando Napoli”.

          Non si chiamava Gennaro, lo chiamavo cosi’ perche’ era fero-
          cemente  napoletano;  talmente  napoletano  che  non  sarebbe
          nato se non fosse  nato a Napoli.

          “Ed io ho sognato mamma…”.

          “Come sta quella bella mamma?”.
           “Piangeva…”.

          “Se piangeva vuol dire che e’ viva e che ti aspetta”.

          “Erano lacrime freddissime..”.

          “Come la neve che ci casca addosso! Ma Calo’ tu non capisci,
          mamma  tua  sta  meglio  di  te  e  di  me.  Questo  e’  piu’  che

          sicuro!”. Si mise a ridere.
           “Acthum... acthum…”. Gli aguzzini che ci strappavano dall’

          illusione dei sogni, per rimetterci dentro la crudele uniforme
          dei  poveri,  sporchi,  prigionieri,  traditori,  badogliani.
          “Allineate i morti al margine della strada! Mettetevi in ordine!
          Fra dieci minuti si parte”.

          Marcia...  marcia...  marcia...  “Dio,  Santi  del  cielo  ...  fino  a
          quando?”. “In questi giorni al paese mio si fa la novena di Na-
          tale”. “Tu devi vedere a Napoli che succede! Ogni mattina i
          zampugnari ... e canti, e tric-trac... Mo vene Natale non tengo
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