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temmo  sapere  poco,  era  riservatissimo.  Noi  dicevamo  che
          aveva studiato per essere o prete o avvocato. Non offendeva,
          non si ribellava, nessuno lo senti’ imprecare o bestemmiare.

           Venne a lavorare nella galleria per diversi giorni; ma non era
          furbo, non scansava la fatica ed il pericolo quando poteva, e la
          sera,  quando  sentiva  i  compagni  lagnarsi  per  la  fame,  dopo
          aver mangiato la loro razione lui gli dava la sua, dicendo che
          non aveva fame., Deperi’ a colpo d'occhio. Non venne piu’ a

          lavorare  e  resto’  gettato  sulla  paglia  con  febbre  altissima.
          Dopo che l’aria si   era riscaldata, usciva, trascinandosi e si
          metteva a sedere sotto gli alberi del cortile. Una sera, era gia’
          tardi, non ce la fece a tornare nella baracca, lo portammo den-
          tro noi, e ci mormoro’: “Se domani mattina non sono morto,
          portaterni fuori, voglio morire al sole, ho tanto freddo”. Non
          mori’  e  lo  portammo  al  sole.  “Fate  piano,  mi  fate  male,  mi

          spezzate le ossa”, ci disse con un filo di voce. Lo posammo
          delicatamente appoggiandolo all’albero,  gli  accomodammo i
          vestiti  addosso,  ci  fermammo  a  guardarlo,  senza  poter  trat-
          tenere  le  lacrime.  “Non  piangete  per  me,  sto  bene.  Grazie!
          Questo  bel  sole  mi  riscaldera’.  Venitemi  a  predere  questa
          sera…”.

          Ci allontanammo senza voltare le spalle. Nessuno si vergog-
          nava  di  piangere.  Verso  mezzogiorno,  io  ero  in  galleria,  fu

          visto chinare pesantemente la testa in avanti e rotolo’ sul fi-
          anco. Accorsero. Il polso era fermo, un filo di sangue gli scor-
          reva dal labbro, la faccia pallida ma serena, Ia sua prigionia
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