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tammo minatori.
          Sporchi minatori, affamati minatori. Picco, pala, carrelli spinti

          a mano, paletti da traforo mazze per picchiare la testa dei pal-
          etti, acqua, fango e sassi che ci cascavano addosso. Era me-
          glio  morire!  meglio  morire!  Meglio  addormentarsi  per  sem-
          pre!

          E pure non sono stato mai tanto attaccato alla vita, appiccicato
          alla pelle che mi era restata come allora. Meno male che non
          sapevo,  che  nessuno  sapeva,  che  quelIa  vita  doveva  durare
          piu' di nove mesi. Non sapere e' una fortuna!

          Dopo  le  lunghe  giornate  di  lavoro  massacrante,  tornavamo

          alle barracche barcollando, affamati, sporchi, feriti. Ci aspet-
          tava il  brodo di cavoli bolliti ed inaciditi, pane nero e duris-
          simo, qualche patata mal cotta, e dopo il pasto si aveva, piu’
          fame di prima. E poi veniva la notte.

          Nei mesi caldi, zanzare e pidocchi, nei mesi freddi la paglia
          umida  e  gli  stracci  che  non  ci  riscaldavano  e  battevarno  i
          denti,  tormentati  dalla  febbre.  Nella  notte  tanti  e  tanti
          morivano assiderati!

          Allo svegliarci, si aveva ordine di prelevare i morti che c’er-
          ano nei baracconi spogliarli ricoprirli con qualcbe straccio, ed

          allinearli fuori, per aspettare l’arrivo del carretto dei becchini.
          Che processione straziante! ma alla fine non ci impressionava
          piu’ purche’ non passasse per noi.
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